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si allontanò sfruttando la lunghezza del guinzaglio e puntando verso

gli alberi.

Pardo si guardò attorno, la giovane incinta non c’era. Senza

salutare si sedette sulla panchina. «Mentre aspettiamo mi spieghi chi

è davvero la ragazza? Non credo che in quelle condizioni sia un

membro della tua unità, quindi dev’essere una conoscenza privata.

Se devo lavorare con qualcuno, credo di avere il diritto di saperne di

più. Io al buio non mi fido nemmeno di mio fratello, e sono figlio

unico.»

Sara al solito se ne stava immobile, il capo appena proteso in

avanti e lo sguardo basso. L’unica differenza rispetto alla posizione

abituale erano le mani, che ora teneva sulle ginocchia anziché lungo

i fianchi. Notando quel cambiamento, Pardo si convinse che a furia

di frequentarla stava diventando paranoico.

Si aspettava una risposta sgarbata e tagliente, ma lei lo sorprese:

«Hai ragione. E in effetti sono preoccupata anch’io, perché è la

prima volta che si trova coinvolta in un affare del genere. Dovremo

stare attenti».

Pardo trasecolò:

«Come “la prima volta”? E tu affidi a una sprovveduta, senza

alcun appoggio logistico, un incarico tanto delicato? Ma ti rendi conto

che se la sgamano…?».

La donna alzò la mano, interrompendolo:

«So tutto. Ma abbiamo bisogno di una sorveglianza specifica,

perché la Rimotti è una figura chiave che non possiamo contattare

direttamente. E Viola, l’avrai notato, è solo una ragazza incinta e

quindi può passare inosservata mentre noi ci dedichiamo ad altro».

«Sì, ma chi accidenti è? Che esperienza ha? Come possiamo

fidarci delle sue impressioni? In questo lavoro contano i dettagli,

l’intuito. Si matura col tempo.»

«È così. Ma noi tempo non ne abbiamo. Perché ora ho la

certezza che Bea è davvero in pericolo. E se non sbrogliamo la

matassa in fretta, la perderemo.»

Prima che Pardo potesse chiedere chiarimenti su quella

convinzione, Viola arrivò trafelata, ondeggiando sotto il peso della

pancia. Aveva le guance arrossate e gli occhi illuminati da un

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