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XXXVI

«Scusa, mi spieghi per quale motivo e da quando siamo diventati

una squadra? Quanta altra gente verrà coinvolta a mia insaputa?

Magari porto anch’io un amico, così siamo pari.» Pardo guidava per

le strade quasi deserte di una domenica di maggio, senza contenere

le manifestazioni del proprio malumore.

Sul foglietto che la Astolfi gli aveva consegnato, insieme

all’indirizzo dello studio del dottor Armando Rao, che si trovava nella

via più elegante del centro, era riportata anche la data

dell’appuntamento: proprio quella mattina.

Sara replicò sbuffando:

«Anzitutto non credo che tu sia nella posizione di poter eccepire

su chi decide di aiutarci. Ho scelto Viola sulla base di una mia

personale iniziativa, come è successo con te, peraltro. E se ricordi,

all’inizio non eri affatto incline a collaborare».

Davide si passò una mano tra i capelli, spettinandosi ancora di

più:

«Ma che c’entra? Credevo che fossimo coinvolti in un’operazione

riservatissima. Segreta, anzi. Tutte quelle reticenze, la vaghezza sul

tuo passato e sui veri compiti dell’unità di cui sei o sei stata un

membro… e alla fine imbarchiamo una civile con tanto di pancione!

Gigantesco! E dovrebbe occuparsi della parte più difficile

dell’indagine, quella sull’unico, nuovo elemento che è emerso, cioè

Rimotti Rosanna, l’infermiera che magari aveva pure una relazione

col vecchio. Ma ti rendi conto dei rischi?».

La donna rispose con aria indifferente:

«Non deve incontrarla, deve solo sorvegliarla e tenerci informati

mentre noi cerchiamo il modo di parlarci. Una dei servizi sociali non

avrebbe motivo per contattare chi assisteva Molfino».

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