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sara-al-tramonto

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«Non possiamo. Esula dalla copertura che abbiamo scelto. E pare

che non abbia mai avuto contatti con Bea.»

«Eppure» insistette Viola, «è lei che può informarvi sugli ultimi

giorni di quell’uomo. Magari hanno incastrato per qualche motivo la

madre della bambina; anche la moglie di Molfino, con quell’ansia che

le tolgano la custodia, ha una personalità particolare. Io credo

che…»

Mentre stava finendo la frase, fu interrotta dall’irruzione di una

massa di peli neri, bianchi e marroni della dimensione di un pony,

smaniosa di affermare il proprio affetto nei confronti di Sara.

Attaccato a quel locomotore ambulante c’era un tizio spettinato, con

un cardigan di cotone e l’aria indispettita.

Sara rimase sorpresa e anche vagamente irritata. Fissò il tizio e

domandò brusca:

«Tu che accidenti ci fai qui? Perché mi segui?».

L’uomo pareva sull’orlo di un enfisema polmonare:

«Oh, non è… colpa mia se questo dannato animale mi ha

trascinato… Io sto qui vicino, come sai. Forse avrà riconosciuto il tuo

odore, non ne ho idea. E comunque, che male c’è a incontrarsi per

caso? Lo vuoi capire che qui non ci sono agenti seg…». Lanciò

un’occhiata alla ragazza, mordendosi il labbro.

Quella sorrideva divertita:

«Lui è l’ispettore, Sara? Il poliziotto col Bovaro? Be’, sembra un

bel tipo. Salve, io sono Viola».

Riprendendo fiato e cercando di aggiustarsi la chioma ribelle,

Davide fissò diffidente prima il volto della giovane poi la prominente

pancia sotto lo spolverino.

«Questa chi è? E perché mi conosce? Conosce pure il tuo vero

nome, mentre a me l’hai comunicato dopo giorni e giorni in cui hai

finto di…»

Sara, che come al solito aveva fatto sdraiare Boris ai suoi piedi

con una sola carezza, lo interruppe secca:

«Si è appena presentata. Ti ha anche salutato, e potresti

risponderle. È cortesia. Comunque non deve interessarti con chi

parlo e di cosa».

Viola continuava a sorridere soave:

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