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XXXIV

Usciti dal cancello, Davide restò in silenzio.

La recente collaborazione con Sara gli aveva insegnato che era

meglio attendere: la collega aveva bisogno di riordinare da sola le

informazioni, fissare nella memoria i segni che aveva colto e

sistemarli in una precisa sequenza prima di cominciare a

interpretarli.

Da parte sua, Pardo non aveva notato niente di diverso da quello

che si aspettava: una coppia senza figli con l’opportunità di diventare

genitori, anche se l’occasione derivava da un sanguinoso, terribile

omicidio che aveva privato una bambina degli affetti più cari. Aveva

trovato Beatrice smagrita e un po’ sciupata, ma di certo non in

condizioni preoccupanti. Se fosse stato un assistente sociale, e si

congratulava con se stesso per non esserlo, avrebbe espresso un

parere positivo sull’affidamento della piccola agli zii.

I due si diressero muti verso l’auto, parcheggiata più in là lungo il

vialetto. Davide camminava dal lato del mare, illuminato dal tiepido

sole di un pomeriggio inoltrato.

Raggiunta la vettura, Sara si fermò.

Per la prima volta la vedeva con il volto inondato dalla calda luce

di primavera. Si rese conto all’improvviso di quanto quella donna

fosse abile a celare se stessa. Lavoravano insieme da diversi giorni,

si erano scambiati impressioni e pareri, avevano discusso anche in

maniera animata; e Pardo si riteneva un buon indagatore,

fisionomista a sufficienza, se non altro per esigenze professionali.

Eppure solo in quel momento, con i lineamenti messi in risalto dai

raggi del sole, gli sembrò di averne scoperto il segreto. I capelli grigi,

l’assenza di rossetto, rimmel, ombretti, e di qualsiasi altra diavoleria

usassero le donne, la rinuncia a sfoggiare gioielli anche semplici, il

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