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sara-al-tramonto

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accasciato all’improvviso dopo aver mormorato al suo assistente:

«Continui lei, la prego. Non mi sento molto bene».

Allora dodicenne, la ragazza era convinta che prima o poi se ne

sarebbe andato comunque, e che nessuno avrebbe avuto il coraggio

di criticarne la scelta: la madre, Rosaria, era sempre stata

insopportabile.

I soldi erano suoi, e a quanto pareva le conferivano il diritto

assoluto di disporre dell’esistenza di chi la circondava. Era incline

agli scoppi d’ira ed esprimeva giudizi taglienti, di cui magari non era

convinta, ma che producevano negli altri sanguinose ferite difficili da

rimarginare. Andava su tutte le furie quando intuiva che il mondo

attorno a lei sfuggiva al suo stretto controllo, esteso dall’ambito

economico a quello privato. Chi utilizzava le risorse di Rosaria, ed

era difficile da evitare perché trovava sempre il modo di imporsi,

diventava una sua proprietà; niente restava escluso, né i sentimenti,

né le scelte personali.

Solo Viola, e solo in parte, riusciva a tenerle testa. Simili nel fisico,

non avrebbero potuto essere più lontane nelle emozioni, visto che la

giovane aveva ereditato dal padre una dolcezza e una sensibilità

aliene all’indole pragmatica e concreta di Rosaria. Collerica e

reattiva, diffidente ed egocentrica fino al parossismo la madre;

riflessiva e pacata, altruista e incline ai rapporti umani la figlia: erano

opposte nel carattere e destinate a scontrarsi di continuo.

Quando Viola aveva cominciato a convivere con Giorgio, la

situazione economica di entrambi non aveva permesso una

soluzione abitativa autonoma. Così la ragazza aveva preteso di

andare a vivere nell’appartamento al piano inferiore a quello di

Rosaria – sempre di sua proprietà – ma senza altra via di

comunicazione che non fosse la porta blindata sul pianerottolo. E

capitava che, al suono imperioso del campanello, Viola non

rispondesse limitandosi ad alzare il volume dello stereo.

Meglio essere chiari. Non concederle spazio. Tracciare limiti netti.

Chiudersi in un ostinato, assoluto silenzio e lasciarsi scorrere

addosso le mille domande. Era davvero l’unico modo per contrastare

l’invadenza della madre.

Canticchiarle in faccia era un’alternativa.

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