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sara-al-tramonto

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Che farai, amore mio? Non durerà molto, ed è già un miracolo

tutto questo tempo. Non sono preoccupato per i soldi, quelli ci sono.

Ma come riempirai le giornate dopo che me ne sarò andato? Non

dovevi lasciare l’ufficio, sei stata una pazza. E pazzo sono stato io a

permetterlo.

«Ho assistito una persona durante una lunga malattia. Quando è

finita, mancavo da troppo. È un mestiere che richiede

aggiornamento continuo. E io ormai ero fuori.» Come in risposta a

quella constatazione, qualcosa vibrò nella borsa che teneva in

grembo. Con un gesto vagamente inquieto aprì la cerniera ed

estrasse il cellulare. Sul display c’era un messaggio da un mittente

anonimo. Una sola parola: “Caffè”.

La ragazza strinse il bavero dello spolverino e si alzò a fatica.

Alla loro sinistra la coppietta, favorita dalla vittoria della sera nella

quotidiana battaglia col giorno, aveva cominciato a comunicare in

una maniera che non aveva bisogno di interpretazioni.

«Devo andare, altrimenti mammina mi tempesta di domande. A

domani, se riesco. Sempre al tramonto. Un’ultima cosa: come ti devo

chiamare?»

La donna invisibile la fissò.

«Chiamami col mio nome. Chiamami Sara.»

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