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Pardo, pur non avendo una conoscenza specifica del linguaggio

del volto, conosceva la procedura e possedeva una buona dose di

esperienza:

«Il tassista, eh? Con tanto di licenza, immagino. Che saresti

pronto a mostrarmi, immagino. E senza perdere un minuto,

immagino».

L’altro arrossì e serrò le labbra. Le usuali contrazioni non si

arrestarono:

«Ispetto’, non sono in servizio, adesso, il sabato non lavoro.

Magari un’altra volta».

Davide annuì, sorridendo:

«Questa è una bella notizia, Caputo. Perché forse te ne esci da

’sto posto coi piedi tuoi, magari un poco zoppicante e felice di

ritrovarla a casa, la tua licenza. Sempre se rispondi bene…».

«Chiedete pure.»

«Allora, prima di tutto spiegami per quale motivo Molfino ti ha

licenziato.»

Il ragazzo si strinse nelle spalle:

«È semplice: non gli servivo più, ispetto’. Mi ha comunicato che

da quel momento in poi, se si doveva muovere, lo accompagnava la

signora. Ma siccome non stava bene, ormai non usciva quasi più.

Devo ammettere che mi è dispiaciuto, ma teneva ragione».

Pardo chiese:

«“La signora” chi? La figlia?».

Giuseppe ridacchiò:

«No, quale figlia? Quella stava sempre fatta, più di là che di qua,

se si metteva al volante della Jaguar ne ammazzava una quindicina!

No, no, l’infermiera, dico. La signora Rosanna».

Davide e Sara si scambiarono una rapida occhiata. Quindi Pardo

domandò:

«Scusa, Capu’, come mai dici “la signora”? E come sarebbe che

l’accompagnava lei se c’era bisogno? Non si occupava delle

iniezioni e delle medicine?».

Il ragazzo era agitato. Non riusciva a smettere di guardare Sara,

che doveva turbarlo con quelle occhiaie, i capelli grigi un po’

scarmigliati e la totale assenza di espressioni sul viso levigato.

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