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sara-al-tramonto

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XXVI

Stavolta si fece trovare al suo posto, di fronte all’ultimo raggio di

sole, sull’estremità già in ombra della solita panchina.

Viola la raggiunse allegra, inalberando il pancione come la prua di

una nave e portando una borsa a tracolla.

«Ciao! Sei già qui? Hai risolto con gli impegni?»

Sara le sorrise di rimando. Si era chiesta molte volte, negli ultimi

tempi, il motivo di quello strano rapporto con la ragazza.

Apparteneva a una generazione con la quale la donna invisibile non

aveva mai avuto contatti, non comprendendone fino in fondo il modo

di intendere e gestire la vita. Non avevano molto in comune,

all’infuori del legame con Giorgio, che era stato il suo bambino e

adesso era morto, ma che entrambe avevano conosciuto così poco

da poterne discutere solo in maniera superficiale. Poi c’era la

barriera rappresentata dalla madre di Viola, che Sara aveva

incontrato in un’unica, burrascosa occasione e che si era rivelata

parecchio sgradevole. Eppure, chissà per quale segreta rotta

dell’anima, si era affezionata a quella giovane. Si preoccupava per

lei. Quando da sola, di notte, combatteva col sonno, si scopriva a

sperare che avesse cura di sé e del figlio che portava in grembo.

Cercava anche di comprenderne i desideri e le speranze, come

immaginava dovesse fare un genitore. «Gli impegni prendono forme

che non ti aspetti, a volte. Come stai?»

Viola si accarezzò il ventre, con dubbiosa tenerezza:

«Be’, Alien qui ogni tanto decide di muoversi o scalciare. Mi sa

che comincia a sentirsi un po’ oppresso anche lui. Ho riflettuto un

sacco sul nostro ultimo incontro, sul modo in cui hai capito quello

che si dicevano il nonno e il nipotino. È davvero incredibile. Non può

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