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«Figurati. Mi si è addormentato in braccio dopo una volta sola.

Non ci sono più i ragazzini di un tempo».

«Forse dovresti alzare un po’ l’età.»

«No, per quello basta la mia. Davvero, Mora, hai rischiato troppo

e puoi finire in guai seri. Io la copertura dei servizi sociali la posso

mantenere senza difficoltà, ma poi non potrai operare al di fuori di

quell’ambito.»

«Devo avvicinarmi. O almeno visionare le espressioni, verificare

come si muovono.»

La Pandolfi non si scompose:

«Be’, restando sulla piccola potresti, no? Perché sei convinta che

il tempo stringa?».

L’altra tacque, tornando a osservare il traffico. Il caffè, ormai

freddo, giaceva melmoso nella tazzina.

«Una sensazione, Bionda. Una gran brutta sensazione. Quella

bambina… non credo sia solo depressione, o roba simile. Sembra

non stia bene davvero.»

Seguì una pausa di silenzio, col sottofondo del rumore costante

degli automezzi in transito. Poi Teresa disse:

«Sì. Ho avuto anch’io la stessa impressione, ed è per questo che

ti ho cercata. C’era una collaboratrice di giustizia che doveva essere

interrogata e ci hanno chiesto di visionare il video. Nelle immagini

compariva questa bambina con la madre, io non avevo idea… Cioè,

ero informata dell’omicidio Molfino, lo sorvegliavamo, te l’ho

raccontato. Ma la bimba, chi l’aveva mai sentita nominare? È bastato

qualche fotogramma… La madre aveva il terrore dipinto sul viso. Il

terrore puro».

Sara attese, concentrata.

Teresa mormorava quasi tra sé, gli occhi azzurri persi in un

orizzonte lontano.

«Quando arrivò la segnalazione interna, grazie all’ispettore, mi

venne subito in mente la piccola ripresa dalla videocamera. Come si

muoveva, lenta, triste. Anni fa, ci fecero studiare gli ultimi giorni dei

condannati a morte in America. Ricordi? Be’, hai presente la loro

postura quando non aspettano altro che la fine? Ecco, lei mi

sembrava una condannata. E in qualche strana maniera, la mamma

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