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sara-al-tramonto

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XXV

Appena si ritrovarono in macchina, a debita distanza dalle finestre

del palazzo e fuori dalla portata delle occhiate indiscrete di eventuali

osservatori, Davide chiese:

«Allora, che te ne pare? Mi sembra che l’abbia presa abbastanza

bene, no?».

Sara sedeva con le mani in grembo, il volto assorto, gli occhi fissi

sulla strada che scorreva davanti al parabrezza.

Pardo era inquietato dalla capacità della donna di privarsi di ogni

espressione, annullando anche i movimenti del corpo e

nascondendosi dietro a una perfetta immobilità. Assomigliava a una

bambola dimenticata nell’angolo di una soffitta.

«Ci darà filo da torcere. È sulla difensiva.»

«Cioè, secondo te ha mentito e ha qualcosa da nascondere?»

Lei si voltò verso Pardo:

«Non necessariamente. Ne ho visti tanti. Il sorriso che scopre i

denti, gli angoli della bocca diritti, le labbra sporgenti, gli occhi a

terra. Il fatto che abbia taciuto un elemento, o che sia all’erta, non

significa molto di per sé».

«Non capisco.»

La donna si strinse nelle spalle, tornando a fissare la striscia

d’asfalto:

«Magari è davvero preoccupato per la salute della bambina e

teme che lo si accusi di negligenza. Non vuole perderla e,

credendoci funzionari dei servizi sociali, ha paura che gliela togliamo

per affidarla a qualche istituto. Forse si vergogna di quello che è

successo alla sua famiglia, hai visto com’è formale? I vestiti, la

stanza in cui ci ha ricevuti, l’educazione, il tono di voce».

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