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Il poliziotto riprese a parlare:

«Mi rendo conto. D’altra parte è la prassi, niente di più e niente di

meno».

All’improvviso Molfino sorrise:

«Certo, ispettore, comprendo. Allora, come posso aiutarla?».

Teneva lo sguardo fisso su Pardo, ignorando Sara. Attendeva che si

presentasse, attento a non sbilanciarsi prima di sapere chi fosse.

Ben fatto, pensò lei.

Davide sembrò intuire le ragioni di quella prudenza e indicò la

donna:

«La signora Saretti è un funzionario dei servizi sociali».

Sara intervenne, tendendo la destra verso Molfino:

«Stiamo monitorando le condizioni psicologiche dei minori la cui

vita è stata segnata da un evento delittuoso. Ci risulta che con voi

viva Beatrice, la figlia di…».

L’uomo strinse la mano di Sara. Presa sicura, niente sudore sul

palmo. I segni contrastavano fra loro.

«Di mia sorella, sì, che è anche l’assassina di mio padre, il

cavalier Andrea Molfino. La bambina è con noi. C’è qualche

problema?»

«No, dottore. Le ripeto, è un controllo di routine, non individuale

ma macroscopico. Cerchiamo di rilevare i cambiamenti nello stato

psicologico o di salute dei minori che…»

Molfino ebbe un moto di impazienza:

«Sì, signora, è chiaro. Mi dica pure».

Sara tirò fuori un blocco per appunti e una penna. «Dopo la morte

del nonno, Bea come sta? Continua a incontrare la madre?»

Gianpiero emise un impercettibile sospiro, tenendo le dita

intrecciate davanti a sé. Sara colse entrambi i particolari.

«Mia nipote era legatissima al nonno. La madre invece la vedeva

molto meno di quanto, secondo me, dovrebbe una bambina di sei

anni. Non sono un esperto, ma credo che questo abbia contribuito

alla formazione di un carattere piuttosto chiuso. Siamo stati sempre

attentissimi a Bea. Doriana, mia moglie, ha subìto un intervento, e

purtroppo non può avere figli.»

Sara finse di prendere appunti:

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