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sara-al-tramonto

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XXIII

Dopo aver appreso la destinazione ed essersi infilato nel flusso del

traffico cittadino, Pardo mormorò:

«Primo dirigente? Alla faccia. Roba grossa, per essere una che

legge le labbra».

Sara armeggiò con alcuni fogli che aveva estratto dalla borsa

sformata, e senza ribattere cominciò a leggere:

«Molfino Andrea, la vittima, era uno di quelli che si definiscono

“finanzieri” e che gli altri chiamano “faccendieri”. Più volte inquisito,

mai una condanna in via definitiva, aveva a libro paga una squadra

di avvocati. Business nell’edilizia, nel settore alberghiero e

nell’industria. Rilevava per quattro soldi imprese sull’orlo del

fallimento, le impupazzava, beccava i finanziamenti pubblici e le

cedeva a prezzi altissimi a multinazionali che finivano per

dismetterle. Passava per il salvatore delle maestranze, ma di fatto

ne era il becchino».

Davide fece una smorfia:

«Minchia, complimenti. Un benefattore dell’umanità, insomma: poi

in galera ci va la povera gente. Ma scusa, non usi gli occhiali da

presbite? Io non vedo niente da anni».

Sara rispose senza alzare lo sguardo:

«E tu saresti più giovane di me? È palese che mi sono conservata

meglio. Ma andiamo avanti. Ricco sfondato, continuava a muovere il

denaro a velocità supersonica. Era furbo come una volpe, ed è

riuscito a non farsi incastrare. I miei lo tenevano sotto sorveglianza,

ma era assente dai social e non usava il cellulare. Un vero troglodita

informatico».

Pardo sogghignò:

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