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XXII

Appena si sedettero nell’auto di Pardo, lunghi peli di Bovaro del

Bernese turbinarono pigramente nell’aria.

La donna allungò una mano ed esordì in un modo del tutto

imprevisto:

«Il mio vero nome è Sara. Sara Morozzi».

L’ispettore fissò le dita protese come se fossero un animale

sconosciuto. «Non capisco. Che succede?»

«Da oggi su questa faccenda lavoriamo insieme, e trovo giusto

che non ci siano equivoci. Perciò iniziamo col darci del tu.»

Davide trasecolò:

«Equivoci? Bugie, piuttosto! Per quale accidenti di motivo finora

mi avevi detto di chiamarti Mora? E come sarebbe che da oggi

lavoriamo sul caso? Chi l’ha deciso? Io non sono stato consultato,

e…».

Sara lo interruppe, seria:

«Be’, comunque mi hai dato del tu. Se non vuoi che proseguiamo

l’indagine insieme, visto che ora conosci la mia identità, dovrò

ucciderti. Peggio per te».

Il poliziotto strabuzzò gli occhi:

«Non dici sul serio».

L’altra, impassibile, annuì:

«Ovvio. Ma siccome non sei un libero professionista, non sei tu

che decidi. Come ti ha comunicato il tuo superiore stamattina, devi

considerarti distaccato. Certo, hai il problema del mio grado…».

L’ispettore continuava a fissare la mano di Sara:

«In che senso?».

La donna alzò le spalle:

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