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Pierpaolo Rubiu
Silgiu
alla ricerca del custode
ii
Correzione bozze: F&C
Cover di TORBERO Creative Lab
Illustrazione retro copertina: Enrico Rubiu
Copyright © 2023 Pierpaolo Rubiu
Tutti i diritti riservati.
1
Prologo
C’è ancora speranza
Luja
15 settembre 2015
Isola nell’Oceano Indiano
Villaggio Sentinel
L
a prima luce del mattino colpisce l’angolo della scrivania, vado alla finestra
e sposto il drappo color avorio. I rami spogli dell’albero sacro s’innalzano
oltre la volta della foresta e come artigli squarciano il cielo. Non è
rimasto molto tempo per rimediare e io non posso farci niente.
Tetrameles, fichi del diavolo e anacardi fanno da sfondo alle abitazioni
dell’ultimo villaggio del nostro popolo. Cinque bambini giocano appesi al piedistallo
della Dama Bianca.
Raggi di luce ambrati si diffondono dalla tavola ricavata dal tronco, il
luogo delle grandi decisioni. Mi sposto al centro della sala e ci passo la mano
sopra. Dopo tanto tempo emana ancora profumo di resina.
Il telefono squilla. «È tutto pronto?» La voce è tremolante.
Lascio cadere la penna accanto alla tastiera del computer. «Certamente! La
maggior parte degli adulti è impegnata in attività di abbattimento degli alberi,
altri lo sono in quella di rimboschimento; i rimanenti si occupano della spedizione
del legname. Tra qualche giorno il carico lascerà l’isola. Ce la faremo,
non preoccuparti.»
Riaggancio il telefono e mi siedo. I braccioli della sedia sono ruvidi, distrutti
da colpi di spada e martoriati dalle pallottole.
Gaia dovrebbe arrivare tra poco. Sposto il mouse e ripongo i fogli firmati
nel cassetto, mi metto davanti i documenti da firmare.
All’esterno uno scalpiccio, qualcuno cammina sotto il portico. Dev’essere
lei. Spalanca la porta, si avvicina con passo spedito. La mia nipotina è bellissima,
come sempre.
Si china e mi bacia sulla guancia. «Ciao Nonna, volevi parlarmi?»
Inutili i giri di parole, meglio andare dritta al punto. «Riguarda la mia decisione,
la dirò alla riunione questa sera.»
1
Gaia rivolge lo sguardo a terra, appoggia il sedere sul tavolo e incrocia le
braccia. «Ti preoccupa, che non possa avere figli?»
Come immaginavo: ha capito. «Con Innan non potrai avere figlie. Per
questo sarà tua cugina a prendere il mio posto.»
Si gira all’improvviso, i suoi capelli lisci rilasciano profumo di pesca. «È
giusto così, non preoccuparti Nonna, avrò più tempo per studiare e stare con
Innan.»
Si gira all'improvviso, preme la mano sulla pancia. Corre alla porta in
fondo alla sala, il ticchettio sul parquet risuona nella stanza. La seguo, si infila
in bagno e serra la porta.
«Che cosa ti succede bambina?» Tossisce, entro. «Mi stai facendo preoccupare.»
Fa scorrere la carta igienica, l’arrotola nelle dita e la passa sulla bocca. «Sarà
il cibo, Innan fa schifo ai fornelli.»
Strano, ha sempre mangiato di tutto fin da piccola, pensavo che sarebbe
riuscita a digerire anche il legno. «È la prima volta che vomiti?»
Abbassa la tavoletta del gabinetto e ci si siede. «No, la prima è stata questa
mattina.»
Non sarà che…? «Vieni qui, fammi toccare.»
Sollevo la maglietta rosa e copro gli incisivi di SpongeBob stampato nel
tessuto, accosto i polpastrelli al suo ventre. «È impossibile, sei incinta!»
Si morde il labbro, indietreggia e sbatte il fianco contro il lavandino. «Ma
è fantastico.» Deglutisce. «Voglio dirlo a Innan il prima possibile.»
Com’è potuto succedere? Ho sempre pensato che fosse impossibile. È
troppo pericoloso, potrebbe morire. «Devi abortire. Non riuscirai a portare a
termine la gravidanza. Ti ucciderà.»
Incrocia le braccia, solleva il viso e contrae i muscoli della mascella. «Perché
dici così? è mai successo prima?»
«No, che io sappia no.»
«E allora? come fai a saperlo?»
«Non posso permetterlo! Ho perso mia figlia. Ti proibisco di continuare.»
Esce e sbatte la porta.
Cosa faccio Adesso? So dove va, devo raggiungerla.
Faccio i gradini due alla volta, lascio il villaggio per addentrarmi nella foresta.
Passo tra le radici aeree dei baniano e imbocco il sentiero. Respiro a
fatica, il cuore pulsa nelle tempie e le ginocchia tremano. Appoggio la schiena
a un albero e prendo fiato. Il passaggio non è come lo ricordavo: gli arbusti
ostruiscono la strada, le spine graffiano le mie braccia; pare mi vogliano rallentare
o addirittura bloccare. Devo far presto, costringerla a ragionare, sembra
decisa ad andare avanti. Sa di rischiare la vita, e io ne morirei.
Tre rami spogli arrivano dalla mia destra, quattro ricchi di foglioline si
muovono sulla sinistra, li sposto e mi butto tra gli alberi. Due mi cingono in
vita, non riesco a muovermi.
2
«Aiuto, c’è qualcuno?»
Uno si insinua sotto l’ascella e si rigira sul petto. L'altro si attorciglia nelle
gambe e risale fino al collo.
«Ma cosa…?»
Spuntano nuove foglie, la luce non filtra. C’è buio. Mi sollevano. Una voce
entra nel cervello. È l’albero sacro. Il timbro è calmo, appena udibile. Il cuore
rallenta, sono al sicuro.
«Non devo oppormi alla nascita delle bambine?» Stringe ancora, non respiro.
«No, cerca un'altra donna!»
Un moncone del ramo s'infila tra le costole.
«Mi fai male, lasciami. Lasciami andare.»
I rami si aprono, mi poggiano a terra. Gaia è alla base dell'albero sacro, in
ginocchio tra le radici, con la testa tra le mani. Mi metto al suo fianco e le
accarezzo una spalla.
Le lacrime le scorrono sulle guance. «Perde le foglie. È iniziata?»
«Sì cara.»
Fa un respiro profondo. «La storia si ripete.» Tira su con il naso. «Il tempo
dell’uomo è giunto alla fine?»
«Ho paura di sì.»
Piega la testa indietro, i capelli scendono lungo la schiena. «Che cosa possiamo
fare?»
«Non saprei.» L’aiuto a tirarsi su. «Torniamo a casa ora.»
Lei appoggia la fronte sulla mia spalla. «Ho preso la mia decisione.»
«Non sei obbligata.»
«Porterò a termine la gravidanza Nonna.»
«Sai che sono due bambine vero?»
***
Un trillo. Spalanco gli occhi, qualcuno suona il campanello. «Arrivo, solo
un attimo.»
Innan prende fiato. Il sudore, sulla fronte, riflette la luce della lampadina.
Non ci vuole molto per capire che c’è un problema.
Stringe la mia mano. «Devi, venire subito! Gaia ha chiesto di te. Sta molto
male, temo che sia in pericolo.»
Sembra ieri, ma sono già passate cinquantadue settimane dal giorno del
litigio con mia nipote. È arrivata l’ora, lo sento.
Vado in sala, prendo la borsa da medico. «Ti seguo.»
Incediamo nel sentiero, i sassi si infilano tra le dita, l'erba è bagnata e fresca.
Entriamo in casa, la stanza è vuota. «Dov’è lei?»
Innan mi precede, fatico a stargli dietro. Entriamo in camera, Gaia si rigira
nel letto. Gocce di sudore grondano dal suo viso e spuntano sul suo torace.
3
Le tocco la fronte. «Ha la febbre alta.»
L’aiuto a tirarsi su, prendo un flacone dalla borsa, lo apro. «Bevi questo,
farà abbassare la temperatura.»
Le stringo il pugno.
Innan, dall’altra parte del letto, con le labbra sfiora i suoi capelli. «Non puoi
lasciarmi solo, proprio adesso che ti ho trovata, che stai per diventare
mamma. Te ne prego.»
L’uomo si gira e mi guarda negli occhi; le sue guance sono rosse. «Portiamola
dal fiore azzurro, l’insetto verde ha salvato quella ragazzina, farà lo
stesso con lei.»
Non c’è niente da fare, me lo aveva detto. Mi devo solo fidare di Lui, che
sa cosa è meglio per tutti. «Mi dispiace, caro, non funzionerà. Questa è un’altra
cosa.»
La solleva tra le braccia e la bacia in fronte. «Vado a cercarlo. La salverò.
Troverò l’insetto verde e tutto andrà per il meglio, lo so. L’ho visto.»
Innan accosta l’orecchio alla bocca di Gaia. «Che cosa hai detto? Ripeti ti
prego, ripetilo.»
Il torace di mia nipote si muove veloce, sorride un'ultima volta. Gli occhi
verdi sono rivolti verso il suo uomo. È finita. Il petto è immobile. Tocco il
polso: i battiti sono assenti. La mia adorata nipotina ha iniziato un nuovo
viaggio.
Innan cade sulle ginocchia, il tonfo sul pavimento mi fa trasalire.
«Perché?» Urla. «Perché?»
Si calma, ha singhiozzi di pianto. Sdraia mia nipote sul materasso e le appoggia
la mano sul ventre. «Mi dispiace bambine.» La bacia sulle labbra.
Picchia la tempia contro il poster del salice. Il muro trema e i colpi rimbombano.
Il sangue dalla fronte cola sul suo collo e finisce a terra. La chioma
dell’albero sulla parete è diventata rossa. Barcolla un istante, si ferma sulla
porta, sferra un pugno allo stipite ed esce.
Quarantotto ore dopo, 03 giugno 2016.
Sono ai piedi del grande albero.
Davanti allo scavo, Innan, in lacrime, tiene Gaia tra le braccia. «Non potrò
consolarvi quando cadrete. Rispondere ai vostri mille perché.» Le bacia la
pancia. «Mettervi in castigo alla prima marachella, per poi abbracciarvi pentito.
Insegnarvi ad andare in bicicletta, vedervi arrabbiate, litigare per il primo
amore.» Le accarezza i capelli. «Non ho protetto vostra madre e non sono
riuscito a salvarvi bambine. Ovunque vi troviate, prendetevi cura della
mamma. Vi voglio bene.»
La adagia tra le radici dell’albero sacro e lascia cadere il fiore azzurro, a
forma di stella, sopra il suo corpo. «Lui ha mentito. L'albero mi ha fatto vedere
altro. Io ho visto un’altra cosa.»
4
Attende un istante e si allontana.
Vanno via tutti. La pioggia viene giù, lambisce le foglie e si diffonde di
ramo in ramo, fino ad arrivare alla base dell'albero. Il fango scorre tra le radici.
Il gatto di Gaia, al mio fianco, miagola. Lei riposa sotto il mucchio di terra
fradicia.
Sono sola, l'acqua scorre fra i capelli, cola sul viso fondendosi con le lacrime.
Sommerge ogni cosa. Nasconde, forse per vergogna, quanto è accaduto.
La luce dei lampi rende visibili i rami, che ondeggiano come vele nella
tempesta. Il chiarore della luna è offuscato dalle nuvole.
Sem annusa il luogo di inumazione. Solleva la coda, miagola e scava nel
fango.
M’inginocchio; infilo le mani nella melma. Gaia è già avvolta dalle radici,
com’è possibile? Sembrano trasparenti. Circola al loro interno una sostanza
azzurra e fosforescente. Il ventre si solleva. Qualcosa si muove dentro di lei;
qualcuno è vivo. Due rami arrivano dall'alto, le aprono le gambe. Una testolina
spunta tra le cosce. La afferro, la avvolgo nella giacca e la stringo al petto.
La piccina piange. I rami ci accerchiano, siamo tra le foglie.
Qualcuno mi parla.
Ancora la voce nella testa.
Nuovamente Lui.
«Devo impedirle di toccare la terra? per quanto tempo?»
I rami si ritirano, le nubi liberano il cielo e piccoli fili dorati irradiano il
volto della bambina. Porto le braccia al cielo, saltello e gli schizzi del fango
arrivano sul muso del gatto. La piccola ha gli occhi aperti. Uno è azzurro e
uno è verde. Guarda l'animale e sogghigna.
Sem, con il muso all'insù, miagola, strusciandosi sulle mie gambe. Mi
chino e gli mostro la bambina. «Non la trovi bellissima?»
La piccola lo afferra per un orecchio. Sem punta le zampe e tira; lei lo
avvicina a sé.
«Avrò un bel da fare con te bambina mia, invece per te Sem, prevedo
tempi duri.»
5
1
La strana bambina
Anori
Cinque anni dopo, 07 febbraio 2021
Lago Anjikuni
Villaggio Inuit
V
icina alle nostre abitazioni apparve, dalla sera alla mattina, una casa di
ghiaccio. Da allora un’anziana signora e una bambina, con la pelle bruna,
iniziarono a circolare nella nostra comunità. E così arrivarono i guai.
La pianura di ghiaccio e neve si estende a est, verso le montagne. A ovest,
le vette increspate fanno da cornice grigia a una lastra bianca.
Seduto in veranda su una vecchia sedia, scorro le dita sul legno ruvido dei
suoi braccioli. La mano destra si ferma sul taglio netto. Con l’unghia dell’indice
stacco una scheggia. Quella sinistra accarezza i segni di vecchie stoccate.
Continuo e mi fermo su tre fori; sono bruciacchiati, sembrano causati da pallottole.
Un fremito mi scuote le spalle. Il venticello arriva dal versante nord e
porta con sé il profumo della carne sul fuoco. Il cielo oggi è limpido. Sui tetti,
ricoperti dalla neve, spuntano canne fumarie e dalla loro bocca salgono colonne
di fumo grigio. Cavi elettrici si allontanano dai pali in legno abbarbicati
alle case.
Appoggio la testa alla sedia. Le palpebre si appesantiscono; chiudo gli occhi.
Le vecchie travi di legno cigolano, il berretto scivola e i capelli raccolti
all'interno si sciolgono sopra le spalle. Sistemo il cappuccio. Silgiu è sparita.
Si è spostata da un’altra parte. Ma dove si sarà cacciata? Giocava con il gatto,
dovrebbe essere qua intorno.
Al centro del villaggio dei ragazzi gesticolano e discutono tra loro. Eccola!
Si muove disinvolta tra i cani da slitta. Sem, il suo gatto, con macchie
rossicce sparse sul mantello bianco, le si affianca. Lei lo afferra per la coda.
Mi alzo. Ma che cosa sta combinando? Oh no, i ragazzi si avvicinano.
Devo raggiungerla per primo. Lascio la vecchia sedia e mi avvio a valle. Dietro
di me lascio le impronte nella neve. Avevo visto bene, vuole che Sem
indossi i pantaloni di una bambola. Vicino, un husky ringhia minaccioso. Il
1
gattone non si preoccupa del cane. Distende le zampe, infila le unghie nel
ghiaccio e miagola.
Il micio soffia, lei molla la presa e lo blocca per il collo. «S-sta' femo Sem,
si gela, lasciati vestie.»
Un acuto miagolio si propaga tra le abitazioni.
Mi fa un po’ pena. «Perché lo torturi così? Non ha bisogno di quella roba.»
«A-anche tu sei vetito. Perché sei vetito? Perché fa freddo e quando si gela
ci si cope. Sem deve mettersi i vetiti, come noi!»
«Gli animali stanno bene senza i vestiti. Loro hanno la pelliccia.»
Rotea gli occhi. «S-Sem è freddooso. Quando si avvicina e lo accaezzo mi
accorgio che tema sempre, e fa un rumoe con i denti.»
Sollevo le spalle. «Non ha freddo, fa le fusa.»
Lei punta i piedi e irrigidisce le braccia. «T-ti ho detto che tema dal freddo,
uffa, non sai nente.»
Meglio lasciare perdere, inutile discutere. «Se lo dici tu.»
Nonostante tutto quel tempo trascorso con lei, sento ancora una sensazione
di disagio quando mi osserva con quegli occhi grandi e diversamente
colorati. Il destro verde smeraldo e il sinistro azzurro.
Me la ritrovo a pochi centimetri e quasi mi viene un colpo.
«T-tieni, ho una cosa per te.»
Un dolce di sua nonna. Li ho assaggiati una volta e sono buonissimi. «Uno
dei dolci leggendari di Luja?»
Silgiu solleva gli angoli della bocca in un sorriso inquietante. «N-no, l’ho
fatto io.»
«Cosa? tu?» Indietreggio.
Una striscia di moccio gli cola dal naso. Tira fuori la lingua e la passa sopra
il labbro. Guarda la mano sinistra, la sfrega sulla giacca e la libera dai peli di
Sem. La infila in tasca e ne estrae una fetta verde, all'apparenza molliccia e
gelatinosa.
«Che cos'è?»
«U-un pezzo di tota, assaggiala.»
Avvicino il dolce al naso. «Come mai la torta ha questo colore?»
La bambina mi guarda con la testa inclinata. «P-perché? Che coloe dovrebbero
avere le tote?»
«Niente, pensavo a un colore un po’ meno; un po’ più. Non importa, ora
sto bene così. Grazie la mangerò dopo.»
Lei gonfia il petto e sorride. Una nuvoletta di vapore fuoriesce dallo spazio
lasciato dalla mancanza di un dente.
«P-preeio.» Si gira da ogni lato. «Dov’è finito il gatto malefio?»
Conservo la fetta nella tasca del giaccone e mi guardo intorno.
Meno male, i ragazzi si sono fermati distanti da noi. Uno di loro impugna
qualcosa; sembra una lancia. La punta nella nostra direzione. Che intenzioni
avrà?
7
«Derek, cosa stai facendo? È pericoloso!»
Un cane si avvicina alla bambina. Ringhia, digrigna e mostra i denti. Un
filo di bava gli cola dalla bocca. Mia madre corre verso di noi.
Parole al vento. Derek non mi ha sentito. Scaglia l’alabarda di legno, che
fa un arco in cielo e si pianta tra il cane e la bambina. Silgiu solleva la faccia.
L’animale trema, abbassa le orecchie, nasconde la coda tra le zampe e scappa.
Forse era questa l'intenzione di Derek.
La mia amica non si è accorta della lancia, è impegnata nella ricerca di
Sem. Meglio così.
Derek corre dalla nostra parte. Lei osserva la collina e sposta indietro la
gamba sinistra, gli tocca la caviglia e lo fa cadere. La neve penetra tra le maniche
della giacca.
Lo sapevo, se le va a cercare; e a chi tocca levarla dai guai?
Derek si alza, ripulisce i vestiti e gli si mette davanti. «Mi hai fatto cadere,
perché?»
Lei si guarda intorno. «Tu non sei uguae a me.» Si gratta il mento. «I-io
non ho fatto nente, sei caduo da solo.»
Arriva Sem, siede di fianco all’amica, si lecca la zampa e poi la rigira dietro
l’orecchio.
«S-Sem, hai rubato ancora cibo?»
Il ragazzo stringe i denti e dà uno spintone a Silgiu. «Sto parlando con te!»
Silgiu perde l’equilibrio e cade a terra, con il sedere. Sotto i suoi palmi sale
una nuvola di vapore, affondano nella neve sino ai gomiti. Scatta in piedi. Tra
le dita una luce bianca ruota in un vortice.
Mi metto tra loro e allargo le braccia. «Ok, ora siete pari, puoi andare Derek.»
«Ma lei…»
«Vattene Derek, velocemente.»
Lui raddrizza le spalle. «Va bene ma tieni a cuccia la tua amica.»
La bambina cambia espressione. Sembra avere le fiamme negli occhi. Le
vene del collo si ingrossano e le sopracciglia si inclinano.
Tocco la spalla di Derek. «È meglio che tu te ne vada.»
Il ragazzo si gira, mi colpisce al volto e si allontana a lunghe falcate.
Finisco con il sedere sulla neve e le gambe all’aria.
Silgiu mi guarda l’occhio. «Ti fa mae?» Allunga il dito.
Mi allontano. «Mi puoi guarire Sil?»
Raddrizza la schiena. «Non posso.» Guarda da un’altra parte.
«Non puoi o non vuoi?»
Si rivolge a Derek. «N-non scappae, non soo un cane. Veni qua!»
Se non fosse stato per quel cappello troppo largo e i pantaloni pesanti, la
corsa sarebbe stata più agile ed elegante.
Il ragazzo corre verso la madre. Silgiu lo insegue con movimenti scomposti,
sembra un pinguino saltellante.
8
«Mamma, Silgiu mi vuole picchiare.»
«Silgiu fai la brava, perché vuoi picchiare Derek?»
Si ferma con i pugni sui fianchi, si volta verso di lui e tira fuori la lingua.
Guarda la mamma del ragazzo. «L-lui mi ha toccata e mi ha detto ache di
andae a cuccia, e io, io non lo sto picchiando, lo sto ghirando e il ghiro non è
un picchio!»
9
2
La busta gialla
Innan
08 febbraio 2021
Roma
C
ome ogni giorno sono sdraiato sul divano con la testa su un bracciolo e
gambe su quello opposto. Infilo il dito nel foro e lo allargo sino a infilarci
la mano.
Un moscone verde mi ronza vicino al naso, si allontana e va ad appoggiarsi
sulla lancetta dei minuti dell'orologio appeso alla parete. La lavatrice in bagno
è posseduta, la centrifuga fa vibrare i muri, arriva il profumo dell’ammorbidente.
Passo le dita sugli angoli degli occhi, mi avvicino alla finestra e pizzico la
pelle del collo. La pioggia batte sul vetro, a tratti rilassante e calma, spesso
furiosa e irritata. Stendo i panni.
Rumore di passi, cammino in punta di piedi, sto attento a non inciampare
e vado all’ingresso, appoggio l’orecchio alla porta e guardo dallo spioncino,
non c’è nessuno là fuori. No, bisbigli sul pianerottolo, sarà qualche ragazzino.
Mi ributto sul divano e infilo la faccia sotto il cuscino, ora che ci penso
dovrebbe esserci da bere da qualche parte. Mi muovo scalzo tra gli oggetti
sparsi, le piastrelle sono fredde, attraverso la stanza e apro l'anta dell'armadio,
proseguo a tastoni, non c’è liquore, controllo dentro i cassetti. Non ricordo
dove l'avevo messa, eppure dovrebbe essere qua, da qualche parte, ne sono
sicuro.
Prendo il cellulare e accendo la lucetta e mi infilo sotto il divano. «Eccoti
bella, come hai fatto a finire lì, inutile che ti nasconda, non scappi ormai.»
Allungo il braccio più che posso, ci sono quasi, la sfioro con la punta del
medio. «Ma porca, stupida bottiglia, fatti prendere da brava.» La tocco con la
punta del medio. «E girati maledetta.»
Presa, la capovolgo, una goccia attraversa il collo e arriva all'anello, come
una lacrima precipita sul tappeto e bagna la polvere che da mesi, no, da anni
fa da padrona in questo piccolo appartamento di tre camere. Sposto il Barone
10
rampante e Tutti i racconti, da mesi sul tavolo, butto per aria Il cinquecento
delitti e La stiva e l’abisso dimenticati sul divano.
Dove cavolo sono, non trovo neanche le sigarette? Non ricordo di averle
terminate, eccole.
«Voi ci siete sempre eh.»
Ne estraggo una, un puntino brilla rosso, una tirata veloce, il fumo si
espande fino al soffitto. Accendere la luce, nei mobili e nelle pareti vedo i
grandi occhi di Gaia, sorridono e mi incitano ad andare avanti, l'ansia mi assale,
ma ha ragione, lo faccio, sì vado avanti giorno dopo giorno. Cough devo
finirla di mettere questa merda nei polmoni, cough prima o poi mi porteranno
nella tomba.
Il locale dietro l'angolo è tranquillo e discreto, daranno da bere a un povero
assetato. Lavo la faccia e indosso le scarpe. Apro la porta, sopra lo zerbino
c’è una busta gialla, non dovrebbe essere qua, la cassetta delle lettere è
giù. Avranno sbagliato, guardo a destra e a sinistra. Non c’è nessuno e non
c'è scritto niente, neanche il mittente, nessuna indicazione utile. La giro più
volte, la sollevo e la metto verso la finestra in controluce, approfitto dei lampi.
La apro, non capisco chi possa avermi mandato qualcosa, le persone che conoscevo
e amavo ormai non ci sono più. Strofino gli occhi. Un foglio di giornale?
Cosa ci faccio, se avessi finito la carta igienica forse. La carta è lucida e
liscia, un articolo di qualche rivista.
“L’uomo è il peggiore essere sul pianeta. Ci siamo impossessati di tutto come se fosse
nostro e non di tutti gli esseri viventi. Lasciando dietro devastazione e distruzione, siamo
responsabili di molte estinzioni. Siamo la cosa peggiore capitata a questo pianeta. Gli altri
esseri dovrebbero cacciarci, e chissà cosa succederebbe se…”
Asciugo la fronte, i battiti accelerano.
È passato del tempo e non ho più controllato, devo verificare se sono
ancora in tempo. È già iniziata, merda, non mi sono accorto, ci sono tutti i
segnali, e sono lì, sotto il naso. Stupido, come ho fatto a non notarli, se non
dovessero intervenire subito lo farà Lei, forse c’è ancora tempo, devo avvisarli
e sperare, molti secoli fa fece una strage.
Prendo l’oggetto di bronzo con tre ruote dentate e due asticelle in rame,
premo quella a sinistra e una voce maschile esce dagli ingranaggi.
«Vorrei parlare con il signor Ontal se possibile.»
Resto inattesa, non ho mai capito come funzioni questo aggeggio e non
so perché non usino un normale telefono moderno.
La voce bassa e profonda mi sorprende, il dispositivo mi scivola dalle
mani e lo prendo al volo, non mi aspettavo arrivasse così presto.
«Credo sia iniziata, ho analizzato gli indizi e tutti confluiscono nella stessa
direzione, se non fate qualcosa la Terra continuerà a sentirsi minacciata e non
so cosa potrebbe accadere.» Con la fronte premo sullo sportello della libreria.
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«Per ora sta solo inviando piccoli segnali, se le cose non dovessero cambiare
temo il peggio.»
La voce dell'uomo dall'altra parte è calma.
«No, trovate qualcun altro, non posso tornare là, non voglio.»
Qualcuno nel piano superiore ha preso a calci una bottiglia, il vetro si
infrange.
Sollevo la testa, il grasso della pelle resta sul vetro. «Va bene, ho capito.
Devo cercare i sette ragazzi?»
Un cane abbaia.
***
Non pensavo che un giorno sarei tornato sull’isola e invece eccomi qua,
la costa diventa sempre più grande. Il cuore ha iniziato a battere forte e i
ricordi riaffiorano. Sono passati cinque anni dall’ultima volta. Aspetto sulla
banchina, non è cambiata, lo stesso ponte in legno porta alla riva e fitte querce
secolari formano una parete sullo sfondo. Arriva il gruppo di accoglienza,
non indossano il costume tradizionale questa volta, non gli aspetto e prendo
il sentiero per il villaggio.
Kantyu solleva le braccia. «Innan, dove vai? Non puoi andartene in giro
così, e lo sai anche tu.»
«Non rompermi le palle!»
La piazza non è cambiata, l’acqua della fontana attraversata dalla luce dipinge
l’arcobaleno in aria. Kantyu mi fa un cenno, entro nell’edificio a sette
punte.
Sono presenti solo donne e bambine, una di loro mi guarda e ride, avrà
circa quattro anni.
Perché lei non c’è.
«Ciao Tatiana, dov’è Luja?»
Tatiana si alza, lascia cadere dei fogli e appoggia le mani sul tavolo. «Non
lo sappiamo, nessuno l’ha più vista dal giorno della sepoltura di Gaia.»
«Com’è possibile? Non può essere sparita, state mentendo.» Non ho
tempo per queste cose. «Devo tornare all'istituto.»
Sposta il mouse e lo mette al centro del tappetino, si side e fa roteare la
penna tra le dita. «Perché dovrei mentire?»
Ho un problema più grande in questo momento. «Scusa, come non detto.»
«Sei pronto ad affrontare le conseguenze?»
«Prima devo risolvere una cosa importante, sperando che non sia troppo
tardi.»
Tatiana rivolge lo sguardo ai presenti, fanno un cenno d’assenso.
«Lasciamo la decisione all’albero sacro.»
«Per me va bene.»
Escono, mi passano davanti e salutano senza guardarmi negli occhi.
12
Arrivo alla mia vecchia casa, è tutto come lo avevo lasciato, nelle stanze
c’è ancora il profumo di Gaia, le sue risate attraversano le pareti. È meglio
che vada a letto, troppi ricordi risvegliano emozioni dimenticate e potrebbero
farmi cambiare idea.
La pioggia di questa notte non la smetteva più, sono più stanco di ieri, il
cuscino è sul pavimento e il lenzuolo attorcigliato alle gambe, ho un appuntamento
importante.
Siamo intorno all'albero, Tatiana è vicina, le maniche della camicia azzurra
sono avvolte appena sopra i polsi, le braccia cadono sui fianchi, corti peluzzi
bianchi di cotone spuntano dai jeans all’altezza del ginocchio sinistro. Sfilo i
vestiti, il sole arriva e mi scalda la pelle.
Ha perso altri rami. Gaia mi disse che c’erano problemi, sembrava grave
allora ed è peggiorato.
Il vapore si solleva dal muschio, l’odore della terra umida è molto forte.
Raggiungo l’albero a piedi nudi, l’erba è soffice e i fiori a forma di stella sono
ancora chiusi. I petali sull’albero non si sono ancora aperti, la luce bianca
sprigionata si espande, ricordano tante punte di cristallo, assomiglia a una
stella con i raggi.
Una mano prende la mia, non me l'aspettavo, la chiudo, l’altra scompare
tra le dita. Perché il cuore mi batte così forte. Di chi è questo tocco così
piacevole, è la bambina di prima ed è bellissima, è perfetta, resto incantato sul
suo viso. Mi porge un disegno, lo prendo, c’è raffigurato un uomo con le
gambe, il corpo e il collo molto lunghi, le braccia sono corte e arrivano al
petto, una donna è alta quasi quanto l’uomo, ma proporzionata e due bambine.
Si tengono tutti per mano in un grande prato con fiori azzurri a forma
di stella sotto un grande albero.
«È per me? Grazie, chi sono?»
Non risponde, abbassa lo sguardo e sbatte le dita dei piedi a terra.
«Come ti chiami piccola? Io mi chiamo Innan.»
Mi guarda e ride, corre di fianco a Tatiana, si aggrappa alle gambe della
donna e si nasconde dietro.
Mi chino. «Hai degli occhi stupendi.» Il sinistro è verde smeraldo, il destro
azzurro.
«Uno degli occhi ha il verde di Gaia, anche i tuoi sono verdi, è tua figlia?»
Passa la mano sulla fronte e tira indietro i capelli. «Non è mia figlia.» Le
ricadono sul viso.
«Ma tu noi hai fratelli o sorelle.»
Infila la mano in tasca ed estrae un artiglio per capelli. «La figlia di una mia
cugina.» Raccoglie i ciuffi dietro la testa e li pinza.
Passo la mano sopra la spalla della bambina. «Va bene, come vuoi.» Ancora
quella sensazione. «Ti posso fare una domanda?»
Tatiana fa cenno con il capo.
«Mi è stato detto che non avrei potuto avere figli con Gaia, perché?»
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Fa una pausa, guarda la piccola alla sua destra. «Non so bene, so solo che
è una questione di differenze nei cromosomi.»
Sul tronco ci sono dei rami bassi, appoggio un piede sul primo e la mano
nell’altro, salgo fino ai rami più alti, si muovono e vengono verso di me, ruotano
intorno e mi circondano. Ai piedi dell’albero Tatiana tiene per mano la
ragazzina. La prende in braccio.
Sono avvolto, è buio, tante voci vagano nella mia testa, mi rassicurano e
mi fanno sentire amato, non sono solo, non lo sono mai stato.
«So cosa devo fare, farò del mio meglio.»
Salto a terra, Tatiana mi fa cenno con la testa.
Appare ancora il sorriso di Gaia, mi butto tra le radici, sul prato dove
riposa, una lacrima cade, arriva al bocciolo, risplende di luce azzurra e si
schiude, ha la forma di una stella.
La bimba mi prende la mano, io passo le dita negli occhi.
Gli abitati sono andati via, restano loro due.
Tatiana mi allunga una scatola, è nera con sette lati opachi, consumati e
bruciacchiati. Sulla parte superiore c’è stampato un eptagramma in altorilievo,
una bocca chiusa al centro.
«Questa è meglio se la conservi tu.»
«Mi chiamo Juno. Perché pianghi, mia mamma dorme qua.»
«Davvero? Anche la donna che amo.»
Mi sussurra all’orecchio. «Sì, lo so.» Si avvicina. «Per faore, trovi mia sorea?»
«Come si chiama?»
Guarda la donna. «Non o so.»
Rigiro l’oggetto tra le mani, lo scuoto vicino all'orecchio. «Cosa contiene?»
Tatiana solleva le spalle. «Mi è stato detto solo che non dovrebbe essere
mai aperta, credo sia un buon consiglio.»
«Perché la dai a me?»
«Te l’ho detto, è più al sicuro con te.»
«Perché dovrebbe essere tenuta al sicuro?»
Abbraccia Juno. «Lo scoprirai.»
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