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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Casa di Billie non era troppo lontana da scuola. Si trovava in un quartiere

tranquillo vicino al fiume, in una stradina talmente stretta che il Wrangler ci

passò a stento.

Dovemmo fare un po’ di scale prima di raggiungere una graziosa

porticciola rossa, di fianco a un portaombrelli di ottone.

L’appartamento era piccolo ma accogliente, con le pareti ricolme di foto

e quadri tutti un po’ storti e ammassati; le travi di legno a vista puntellavano

il soffitto e il parquet vistosamente consumato donava all’ambiente una

intimità che mi fece sentire calda e avvolta.

Nell’aria c’era un odore di rosolato che faceva venire l’acquolina in

bocca; mangiai fino a scoppiare, e scoprii che la nonna di Billie sotto i modi

di fare un po’ burberi nascondeva un’attenzione affettuosa e molto materna.

Si assicurò che prendessi il bis del suo pasticcio, e mi chiese da quanto

mi fossi trasferita. Le risposi che venivo da un istituto, e quando con un

sorriso speranzoso le dissi che ero in fase di adozione una dolcezza

profonda le riempì lo sguardo. Raccontai del giorno in cui avevo conosciuto

Anna, la mattina in cui l’avevo vista ai piedi delle scale, e della passeggiata

che avevamo fatto nel giardino quel pomeriggio di sole.

La nonna mi ascoltò attentamente, senza mai interrompermi. Poi quando

finii di parlare si alzò. Si allungò sul tavolo e mi diede un’altra porzione di

pasticcio.

Finito il pranzo, Billie mi mostrò camera sua.

Prima che entrassi, però, abbassò le tapparelle e accese la luce.

Ecco che sulle pareti scoppiarono centomila scintille luminose, e io

trattenni il fiato: serpenti di lucine si inerpicavano sui muri creando un vero

e proprio labirinto di fotografie.

«Oh, ma è…»

Un flash mi accecò come un lampo: sbattei le palpebre, stordita, e vidi il

sorriso di Billie spuntare da dietro una macchina fotografica.

«Avevi una faccia troppo tenera», ridacchiò abbassandola, ed estrasse la

cellulosa quando venne fuori. La sventolò un po’ di volte prima di

allungarmela.

«Tieni.»

Presi tra le mani quel piccolo riquadro bianco, vedendo i colori affiorare

quasi per magia: c’ero io, con lo sguardo un po’ sognante e un vago sorriso

ad ammorbidirmi le labbra; attorno a me, quell’universo di lucciole si

rifletteva nelle mie iridi rendendole brillanti come specchi pieni di luci.

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