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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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«Aspetta», la fermai tastandomi le tasche. «Il foglietto con il numero di

Anna… devo averlo lasciato in segreteria…» Non avevo ancora avuto il

tempo di memorizzarlo perciò era l’unico recapito che avevo di lei. Mi

scusai, mortificata per la mia sbadataggine, e assicurandole che avrei fatto

in fretta ritornai sui miei passi. Non volevo farla aspettare per cui raggiunsi

velocemente la segreteria, dove fortunatamente trovai il fogliettino ai piedi

del bancone. Mi affrettai a rimetterlo in tasca, sollevata, e tornai indietro.

Nel corridoio però qualcuno mi venne addosso. Si trattava di un ragazzo.

Un vero energumeno. Mi sorpassò a passo di carica e la tensione incollerita

del suo corpo fu tale da catturare la mia attenzione insieme a quella di molti

altri. Provai una morsa allo stomaco e la attribuii a quella rabbia così

evidente: era una rabbia carica, nervosa, che presagiva violenza. E a me

aveva sempre fatto paura.

«Tu!» gridò. «Che cazzo hai detto alla mia ragazza?»

Si fermò davanti a una porta. La riconobbi con un presentimento che mi

annodò le viscere: era l’aula di musica. Sapevo che doveva essere vuota al

momento ma intuii chi, invece, la stesse occupando. Alcuni si radunarono lì

attirati da quella sceneggiata, e quando anche io mi avvicinai, spinta da una

forza inspiegabile, ebbi la conferma che si trattava di Rigel.

Era seduto sul panchetto, silenzioso e impeccabile. I pianoforti

esercitavano su di lui una strana attrazione, difficile da comprendere. Non

l’avrei definita passione, più una specie di richiamo a cui lui non riusciva a

sottrarsi.

«Mi hai sentito? Sto parlando con te!»

Ero certa che lo avesse sentito, tuttavia Rigel non si scompose granché:

inclinò il volto di lato e con estrema calma lo guardò da sotto in su.

«Ti ho visto che ci parlavi, la stavi importunando», il ragazzo gli andò

ancora più vicino. «Non ti devi azzardare, hai capito?» lo minacciò.

L’espressione di Rigel era impenetrabile, come se non lo avesse

minimamente scalfito. Eppure non mi rassicurava. Le ali da angelo nero

erano avvolte attorno al suo corpo, nascoste e invisibili a tutti, ma temevo

l’istante in cui le avrebbe spalancate per dare il peggio di sé.

«Non credere di poter fare il cazzo che ti pare solo perché sei nuovo. Qui

le cose girano in modo diverso.»

«E chi le fa girare?» domandò Rigel, modulando la sua splendida voce.

«Tu?»

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