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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Una mano mi aveva afferrato il maglione all’altezza della spalla, e ora lo

stava stritolando a mezz’aria. Quando incrociai lo sguardo che mi

incombeva addosso cessai di respirare.

Rigel mi osservava con la mandibola serrata, gli occhi taglienti come

lame d’acciaio. Mi lasciò andare di scatto, quasi con ribrezzo, e la parte

ormai sformata del maglione mi ricadde sulla spalla.

«Cazzo», ringhiò tra i denti. «Ma dove ce l’hai la testa?»

Aprii le labbra per parlare, ma non riuscii a rispondere. Ero incredula e

frastornata. Prima che potessi fare alcunché lui mi diede le spalle e mi

mollò lì, avviandosi verso i cancelli.

Lo fissai allontanarsi con la lumachina chiusa tra i palmi delle mie mani.

Diverse occhiate femminili si sollevarono al suo passaggio insieme a molti

bisbigli. Dopo la rissa del primo giorno i ragazzi lo facevano passare,

guardinghi, e le ragazze invece lo mangiavano con gli occhi come se

sperassero che saltasse addosso anche a loro.

«Nica!»

Billie mi stava venendo incontro. Prima che mi raggiungesse mi affrettai

a mettere al sicuro la chiocciola: la adagiai su un muretto basso, vicino a un

cespuglio, e mi assicurai che non rischiasse di rotolare giù.

«Ciao», salutai la mia amica mentre superava un gruppetto di primine

euforiche. C’era più confusione del solito quel giorno, tutti sembravano più

rumorosi, più scalmanati, più vivaci. Percepii qualcosa di strano nell’aria,

una sorta di eccitazione che non riuscivo a capire.

«Attenta», mi avvertì lei quando un altro gruppetto esaltato ci passò

accanto scorrazzando.

«Ma… che succede?» domandai cominciando a camminare. In fondo era

un venerdì come gli altri e non capivo cosa destasse tanta esuberanza.

«Non sai che giorno è lunedì?» Billie alzò una mano per salutare Miki

davanti ai cancelli, lasciandomi il tempo di rispondere. Ci riflettei un

momento, cercando di afferrare qualcosa che evidentemente mi sfuggiva.

«È… il quattordici», mormorai senza capire.

«E non ti dice nulla?»

Mi sentii piuttosto ottusa perché, guardandomi intorno, capii che

qualsiasi ragazza della mia età sapesse perfettamente che giorno fosse

lunedì. Nel modo più assoluto. Ma io non ero come le mie coetanee, ero

cresciuta in un contesto particolare che mi aveva reso estranee anche le

ricorrenze più banali.

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