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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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«È un atteggiamento costruito… un perbenismo inutile.»

«Ti sbagli», obiettai. «La gentilezza è sincerità. E non chiede nulla in

cambio.»

«Davvero?» Il suo sguardo scintillò quando socchiuse appena le

palpebre. «Eppure devo contraddirti. La gentilezza è una forzatura…

Soprattutto quando è rivolta a chiunque.»

Mi sembrò di percepire altro sotto le sue parole, tuttavia mi concentrai su

ciò che aveva detto, perché me ne sfuggiva il significato. Che intendeva?

«Non capisco che vuoi dire», soffiai, palesando la mia confusione. Tentai

di interpretare il suo ragionamento, ma Rigel mi guardò fisso, con quegli

occhi da pelle d’oca e uno sguardo che mi penetrò nell’anima.

Il fascino ipnotico che irradiava mi percorse dalla testa ai piedi. Il cuore

prese a battermi negli angoli più disparati e provai un senso di panico nel

rendermi conto che tutto quello era dovuto solo al suo sguardo.

Riusciva a sconvolgermi senza toccarmi, a farmi sentire in trappola senza

nemmeno venirmi vicino.

«Io sono il fabbricante di lacrime per te», declamò. «Sappiamo entrambi

cosa intendevi. “Non rovinerai tutto”, mi hai detto… Io sono il lupo della

storia, non è vero? Allora dimmi, Nica: come la chiami una gentilezza verso

qualcuno che vorresti solo vedere sparire se non… ipocrisia?»

Rimasi spiazzata dal suo cinismo. Per me la gentilezza era una virtù, era

la delicatezza nella sua forma, ma lui aveva ribaltato tutto con un

ragionamento talmente contorto da avere una sua logica. Rigel era

sarcastico, sprezzante e sagace, ma non avevo mai pensato che ciò potesse

essere dovuto a una sua visione pungente del mondo.

«Come vorresti che fosse?» mi riscosse la sua voce.

Mi allarmai quando lo vidi staccarsi dalla porta e avvicinarsi a me.

«Il nostro rapporto… come dovrebbe essere?»

Indietreggiai finché non sentii i libri pungermi la schiena. La sua voce era

seta, sempre sul limite tra un sibilo e un ringhio, e a volte mi era difficile

comprendere se stesse contenendo la rabbia oppure volesse insinuarsi più a

fondo.

«Non… non avvicinarti», gli intimai, mal celando la mia agitazione. «Mi

dici di starti lontano e poi… poi…» le parole mi morirono in bocca. Rigel

ormai torreggiava su di me, con la sua prestanza schiacciante e gli occhi

abbassati nei miei. Nel tramonto, i suoi capelli neri avevano i riflessi del

veleno.

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