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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Desiderai non reagire alla sua presenza in quel modo.

Il senso di disagio che provavo era pari solo all’attrazione malata che

sprigionava ogni spigolo del suo volto. Il naso dritto, le labbra

perfettamente proporzionate al viso, la mandibola tagliente che donava ai

lineamenti delicati un’armonia impeccabile, e poi… il suo sguardo. Gli

occhi affusolati spuntavano da sotto le sopracciglia arcuate e sprigionavano

una sicurezza destabilizzante e provocatoria.

«Sarà sempre così, vero?»

Ero stata io a parlare. Nell’istante in cui me ne resi conto, non riuscii più

a nascondere quel velo di malinconia. I pensieri di prima erano tornati e con

essi anche quel senso di delusione.

«Il nostro rapporto… non cambierà neanche ora che siamo qui.»

In quel momento mi accorsi che, sotto le braccia incrociate, reggeva un

libro. Il Pugnale Alato di Chesterton. Glielo avevo visto leggere negli ultimi

giorni, perciò intuii che fosse venuto lì perché lo aveva terminato.

«Lo dici come se ti dispiacesse», rispose con la sua voce sinuosa. Mi

ritrassi leggermente, anche se era distante, perché quel timbro mi faceva un

effetto strano. Rigel inclinò lentamente il volto, guardandomi circospetto.

«Vorresti che fosse… diverso?»

«Vorrei che tu fossi meno ostile», sbottai precipitosamente, e mi chiesi

perché la mia sembrasse quasi una preghiera. «Vorrei che non mi guardassi

sempre così… In quel modo.»

«In quel modo…» ripeté Rigel. Lo faceva sempre. Ribaltava le mie

affermazioni in domande, e le modulava con quel tono lento e tortuoso,

calcando le parole con la lingua.

«Quel modo,» soffiai ostinata, «come se mi vedessi come una nemica.

Conosci talmente poco la gentilezza che quando ne vedi una non sai

nemmeno riconoscerla.»

Quel che non volevo ammettere a me stessa, era che mi faceva male.

Mi faceva male quando mi parlava in quel modo.

Mi faceva male quando mi ringhiava contro.

Mi faceva male quando non mi dava la possibilità di migliorare le cose.

Dopo tutto quel tempo avrei dovuto esserci abituata, avrei dovuto temerlo

e basta, eppure… volevo solo aggiustare tutto. Io… ero fatta così.

«Riconosco la gentilezza. Ma trovo che sia un’ipocrisia.»

Rigel ora mi guardava con i suoi occhi neri, seri e riflessivi, ma sempre

così intensi da destabilizzarmi.

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