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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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cambiassero.

Tornai da Anna per riferirle che avevo finito, cercando di nascondere il

mio stato d’animo. Lei, in tutta risposta, mi ringraziò con un bellissimo

sorriso. Mi chiese se mi andava un tè e io accettai con un soffio al cuore,

finendo poi a chiacchierare con lei sul divano davanti a due tazze calde.

Le chiesi del negozio e lei mi raccontò del suo assistente, Carl, un bravo

ragazzo che le dava una mano. La ascoltai con trasporto, cercando di non

perdermi nemmeno un dettaglio di lei, e ancora una volta rimasi ammaliata

dalla luce e dal calore che diffondeva il suo sorriso. La sua voce era come

una carezza, un guanto che mi faceva sentire tiepida e protetta. I capelli

chiari e i tratti gentili risplendevano davanti ai miei occhi come se avessero

una luminescenza che solo io ero in grado di vedere.

Anna aveva la lucentezza della favola per me, e nemmeno lo sapeva. A

volte la guardavo e mi veniva in mente la mia mamma, gli occhi dolci con

cui da piccola mi sussurrava: «È la delicatezza, Nica. La delicatezza,

sempre… Ricordatelo».

Mi piaceva tanto. E non solo perché dentro di me sentivo un bisogno

disperato di affetto, non solo perché avevo sempre sognato un sorriso o una

carezza… ma anche perché aveva una sensibilità rara, e una premura che

non avevo mai trovato in nessuno.

Dopo aver finito di chiacchierare con lei, salii in camera per andare a

recuperare l’enciclopedia che avevo preso in prestito e rimetterla al suo

posto. Di sotto c’era una stanza con una piccola libreria che copriva tutta la

parete; la raggiunsi con il grande libro stretto al petto, e apprezzai il modo

in cui la luce riverberava nell’ambiente. Gli ultimi raggi di sole donavano

un’atmosfera calda e accogliente, bagnando le tende bianche; il pianoforte a

coda riluceva fiocamente al centro come un trono senza re.

Mi avvicinai alla parete con i libri e rimisi l’enciclopedia al suo posto.

Dovetti alzarmi in punta di piedi perché la mensola era un po’ in alto, e per

poco non mi cadde dalle mani, tuttavia riuscii nel mio intento.

Quando mi voltai, il cuore mi sobbalzò nel petto.

Rigel aveva una spalla appoggiata sulla soglia e gli occhi fissi su di me.

La sua figura imponente sembrò spezzare la luce calda che mi avvolgeva, e

subito fece correre sulla mia pelle sensazioni inarrestabili. Quella comparsa

così improvvisa non mi diede il tempo di controllarmi: il battito accelerò e

le mie labbra si schiusero. Ma nulla fu come incrociare il suo sguardo: era

attento e profondo, come quello di un felino che studia la sua preda.

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