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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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assicurato che poteva affidarmi un lavoretto semplice come quello, e non

volevo tornare da lei solo per rimangiarmi le mie parole.

Esitai nella mia indecisione, ma alla fine mi ritrovai davanti alla porta.

Deglutii, poi sollevai una mano e facendomi forza bussai piano. Avevo

fatto troppo piano? Non ottenni risposta. L’idea che forse non fosse più in

camera accese una fiammella dentro di me e mi diede coraggio. Rigel mi

aveva detto di non entrare, e avrei fatto meglio ad ascoltarlo, ma forse

potevo approfittare della sua assenza per lasciare lì i suoi vestiti senza

incontrarlo.

Impugnai la maniglia e la abbassai…

Sbarrai le palpebre quando il metallo mi sfuggì da sotto le dita per la

seconda volta.

La porta si aprì e un’ombra mi calò addosso, facendomi sussultare. Ogni

mia speranza si infranse. Sollevai subito il mento e il mio sguardo ne

incontrò uno scuro come la notte.

Le sue iridi mi catturarono come un incantesimo nero. Me lo ritrovai

davanti e le mie gambe tremarono.

Rigel sprigionava un fascino dannoso, ammaliante, che invece di

incantarmi come succedeva a ogni mente femminile, mi terrorizzava. Come

poteva un ragazzo di diciassette anni bruciare gli occhi in quel modo?

«Si può sapere che avevi intenzione di fare?» domandò con tono lento e

raggelante. La sua espressione non prometteva niente di buono. I miei occhi

scesero sul bucato e con uno scatto i suoi fecero lo stesso.

«Io…» balbettai. «Queste sono tue, e volevo solo appoggiarle…»

«Cosa», scoccò Rigel tornando a guardarmi, «della frase “non entrare

nella mia stanza” non ti è chiaro?»

La sua voce era tutta un graffio. Deglutii e mi sentii schiacciare dalla

tempra incontrastabile che irradiavano i suoi occhi.

«Me lo ha chiesto Anna», spiegai. Avvertivo l’esigenza di assicurare a

me e a lui che nessun interesse mi aveva spinta lì, solo il senso del dovere.

Troppo tardi mi accorsi che quelle parole avevano lo stesso sapore di una

bugia. «Mi ha chiesto una cortesia. Le sto facendo solo un favore…»

«Fallo a te, il favore.» Con un gesto secco, Rigel mi tolse il cesto dalle

mani. Sentii le dita quasi bruciarmi per la bruschezza con cui me lo strappò

via. Le sue pupille mi inchiodarono sul posto, mordaci e ammonitorie.

«Levati di torno, Nica.»

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