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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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La bimba che anni fa sognava di abbracciare il cielo e trovare qualcuno

che la rendesse libera ora guardava quella realtà con gli occhi dell’incanto.

Sarei riuscita a non perdere tutto?

Uscii da camera mia dopo un altro pomeriggio di compiti. Studiavo

molto e ci tenevo a essere brava; oltretutto, volevo che Anna e Norman

fossero contenti di me.

Con mia sorpresa, nel corridoio mi imbattei in qualcuno.

Era Klaus, il gatto di casa. Aveva definitivamente deciso di mostrarsi.

Provai un piacere caldissimo a trovarlo fuori dalla mia stanza, perché

amavo gli animali e interagire con loro mi rendeva felice.

«Ciao», sussurrai sorridendogli. Pensai che fosse proprio bello: il pelo

morbido e lungo come zucchero filato, di un bel grigio polvere, contornava

due splendidi e tondi occhi gialli. Anna mi aveva detto che aveva dieci anni,

ma li mostrava in tutta la sua fierezza e dignità.

«Come sei bello…» lo adulai, chiedendomi se si sarebbe lasciato

coccolare. Lui mi fissò con i suoi occhioni sospetti. Poi rizzò la coda e se ne

andò.

Lo seguii come una bambina, osservandolo con sguardo appassionato,

ma lui mi lanciò un’occhiata arcigna, facendomi intuire che non gli faceva

piacere. Balzò fuori dalla finestra e atterrò sul tetto, lasciandomi da sola nel

corridoio. Doveva essere davvero un tipetto solitario…

Ero sul punto di andarmene, quando un rumore attirò la mia attenzione.

Non me ne accorsi subito: era un suono trafelato che veniva dalla stanza lì

accanto. Ma non una stanza qualunque…

La camera di Rigel.

Mi resi conto che si trattava del suo respiro. Sapevo di non dover entrare,

di dover restare distante, tuttavia sentirlo respirare così mi fece dimenticare

per un momento i miei propositi. La porta era socchiusa, e io guardai

dentro.

Intravidi la sua figura imponente. Era in piedi al centro della stanza, e mi

dava le spalle. Dallo spiraglio, riuscii a vedere le vene gonfie sulle braccia

irrigidite e i pugni chiusi lungo i fianchi.

Furono quelli ad attirare la mia attenzione. La pelle era tesa sulle nocche

e le dita che stava stritolando erano esangui. Mi accorsi della tensione che

gli percorreva i muscoli fino alla spalla e non riuscii a capire.

Sembrava… furioso?

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