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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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«Non rovinerai le cose… Non…»

Mi morsi le labbra e fui io a fare un passo, ma indietro.

Ora era dritto davanti a me.

Fui costretta ad alzare il mento e con il cuore in gola incrociai le sue iridi

perforanti. Erano fisse su di me. Il riflesso del tramonto non era che una

briciola di luce divorata dai suoi occhi.

Rigel fece un altro passo come per rimarcare il concetto, e indietreggiai

ancora, ma alle spalle avevo il muro. Con urgenza i miei occhi

lampeggiarono nei suoi e lo videro piegarsi: mi irrigidii quando si accostò

al mio orecchio e il suo timbro profondo mi risuonò fin dentro la testa.

«Non te ne accorgi neanche di quanto suoni delicata e innocente la tua

voce.»

Cercai di non rabbrividire, ma la mia anima sembrava nuda davanti a

Rigel, incapace di nascondersi dal suo sguardo bruciante.

«Ti tremano le gambe. Non riesci nemmeno a starmi vicino, vero?»

Repressi l’impulso di allungare le mani per allontanarlo. C’era

qualcosa… qualcosa che mi diceva che per quanto lo conoscessi non

dovevo toccarlo. Che se avessi appoggiato le mani sul suo petto per

spingerlo indietro avrei incrinato quella distanza in modo irreparabile.

Esisteva un confine invisibile tra di noi. E da sempre gli occhi di Rigel

mi chiedevano di non infrangerlo, di non commettere questo errore.

«Il cuore ti batte come un pazzo», mormorò sull’arteria della mia gola,

pulsante del mio battito cardiaco. «Per caso hai paura di me, falena?»

«Rigel… per favore, smettila.»

«Oh no, no Nica», ringhiò sottile, facendo schioccare la lingua, come un

rimprovero. «Tu devi smetterla. Questo tono da usignolo indifeso… non

farà altro che peggiorare le cose.»

Non so dove trovai la forza di spingerlo via.

So solo che un attimo prima era lì, il respiro venefico sulla mia pelle, e

l’attimo dopo Rigel era davanti a me, a un paio di passi di distanza, con le

sopracciglia aggrottate.

Ma non ero stata io… Qualcosa sfrecciò sulle sue scarpe, facendolo

indietreggiare ancora: due occhi gialli saettarono nella penombra, fissandoci

con pupille da rettile.

Il gatto gli soffiò addosso con le orecchie abbassate, poi corse giù come

una saetta e sui gradini per poco non fece cadere Anna.

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