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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Epilogo

Le lucine natalizie brillavano come lucciole.

Un bell’albero acceso mandava bagliori dorati, disperdendoli fino agli

angoli più remoti del salone; nella penombra, rischiarata dagli addobbi,

avanzai sul marmo lucente cercando di non far rumore.

Sul divano davanti al caminetto una bimba di appena cinque anni

dormiva rannicchiata in totale beatitudine.

Un avambraccio robusto la teneva mollemente, e il suo visetto riposava

sul petto di uno splendido uomo.

Rigel aveva il volto piegato di lato, e gli occhi chiusi. A trentaquattro

anni era ancora più splendido di quanto non fosse mai stato.

Un filo di barba gli ombreggiava la mandibola, e ogni muscolo del suo

corpo sembrava essersi modellato per rispondere a un istinto di protezione

intrinseco e naturale. Le spalle ampie e i polsi definiti da adulto donavano

un senso di sicurezza avvolgente che era possibile percepire non appena

entrava in una stanza.

Presi la bambina con cura, attenta a non svegliarlo, e me la caricai in

braccio.

Erano stati insieme tutto il giorno.

Quando era arrivata nelle nostre vite, cinque anni prima, Rigel mi aveva

confessato il suo timore: aveva paura di non riuscire ad affezionarsi a lei,

come era stato per tutti gli altri.

Eppure, anche a distanza di anni, ero certa che quella paura fosse svanita

nell’esatto istante in cui l’aveva vista tra le mie braccia, piccola e indifesa,

con quei capelli corvini così identici ai suoi.

Delicata, preziosa, pura… come una rosa nera.

Giusto quel pomeriggio mi ero appoggiata alla soglia e li avevo trovati lì,

seduti sul panchetto del pianoforte. Lei, in braccio a lui, avvolta in un

vestitino di velluto.

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