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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Mi persi tra equazioni algebriche e le date della Guerra di Secessione, e

quando finii i compiti era ormai sera. Stiracchiandomi, notai che il dito che

il geco mi aveva mordicchiato era rosso e pulsava un po’. Forse avrei

dovuto metterci un cerotto… Verde come lui, pensai uscendo dalla mia

stanza.

Smarrita nei miei pensieri, raggiunsi il bagno e allungai le dita sulla

maniglia. Prima che potessi afferrarla, però, quella slittò in basso facendo

scattare la serratura

Alzai la testa nel momento in cui la porta si aprì. Mi ritrovai davanti due

occhi neri e il loro magnetismo mi strappò un tremito di sorpresa.

Indietreggiai di scatto.

Rigel emerse con calma sulla soglia; nastri di vapore gli scivolarono sulle

spalle, facendomi intuire che aveva appena finito di usare la doccia.

La sua presenza mi fece di nuovo quell’effetto scomodo e viscerale.

Non era mai riuscito a essermi indifferente, i suoi occhi profondi erano

abissi da cui sembrava impossibile nascondersi. Erano gli occhi del

fabbricante di lacrime. Non importava che non fossero chiari come nella

leggenda, ti penetravano l’anima, la portavano in superficie e la violavano

così a fondo che sfuggirgli sembrava inutile. Erano occhi pericolosi, quelli

di Rigel, anche se così opposti rispetto alla favola.

Appoggiò la spalla alla cornice della porta; i suoi capelli quasi sfiorarono

lo stipite: invece che andarsene, incrociò le braccia e restò a fissarmi.

«Devo passare», lo informai rigida.

Il vapore continuava a fluire, facendolo sembrare un diavolo incantatore

sul ciglio dell’inferno. In un brivido immaginai di entrare in quella nebbia,

sparire inghiottita nel suo profumo…

«Avanti», mi invitò, senza accennare a spostarsi.

Indurii lo sguardo e lo fissai con rimprovero, consapevole del suo

atteggiamento.

«Perché fai così?»

Non volevo giocare, volevo che la smettesse, che mi lasciasse in pace.

«Così come?»

«Lo sai benissimo come…» cercai di farmi valere. «Lo hai sempre fatto.

Lo fai da sempre.»

Era la prima volta che osavo parlargli in modo così diretto. Era sempre

stato un rapporto di silenzi, il nostro, di cose non dette, di sarcasmo e

innocenza, morsi e ritirate. Non avevo mai perso tempo a capire i suoi

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