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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Rallentai fino a fermarmi, e lei con me. Ridacchiò, schiaffeggiando l’aria.

«Lo so, lo so. Miki dice che sono molesta, ma tu mica le dai retta, vero?

Solo perché una volta le ho inviato un messaggio vocale di sette minuti dice

che sono logorroica…»

«Io… non ho un cellulare», mi ritrovai a rispondere. Sentivo un calore

nel petto che mi toglieva le parole. In realtà avrei voluto dirle che a me non

importava se parlava tanto. Che lei andava bene così, perché in quella

confidenza che mi gettava addosso riuscivo a sentirmi meno strana e

diversa. Riuscivo a sentirmi normale. Ed era bellissimo.

«Non hai un telefono?» domandò sbalordita.

«No…» mormorai, ma ecco che il suono improvviso di un clacson mi

fece sussultare.

Dal finestrino di un grosso Wrangler emerse la testa di una vecchietta con

indosso un paio di occhiali da sole neri. Berciò qualcosa di indefinito al

signore dietro e quello spalancò la bocca, oltraggiato.

«Mio Dio, mi querelano la nonna…» Billie si infilò una mano nei capelli

ricci. «Scusa Nica, io… devo andare! Ci vediamo domani, okay? Ciao!»

Corse via come un insetto e sparì tra la gente.

«Ciao…» sussurrai, sventolando la mano. Mi sentii incredibilmente

leggera: inspirai a fondo, e trattenendo un sorriso mi avviai per la strada di

casa.

Era stata una giornata lunga, ma tutto ciò che provavo era una

formicolante felicità.

I signori Milligan si erano scusati di non poterci accompagnare ogni

giorno: Norman per lavoro restava fuori fino a sera, e il negozio richiedeva

la presenza assidua di Anna.

Ma camminare mi piaceva. Inoltre, adesso che Rigel aveva la detenzione

da scontare, avevo la casa al pomeriggio tutta per me.

Feci attenzione a non pestare una fila di formiche che attraversava il

marciapiede; scavalcai il torsolo di mela su cui stavano banchettando e

svoltai nel quartiere.

I miei occhi si riempirono dello steccato bianco. “Milligan”, recitava la

cassetta della posta, e io ci andai incontro lieta e serena, ma col cuore che

trepidava. Forse non mi sarei mai abituata ad avere un posto in cui

tornare…

Entrai in casa, e mi accolse una quiete ospitale. Stavo memorizzando

ogni cosa: l’intimità, i corridoi stretti, la cornice vuota sul tavolino

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