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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Avviai la chiamata e accostai il telefono all’orecchio, ma non feci in

tempo a sentire nemmeno il primo squillo: un rumore fortissimo esplose

nell’aria e mi fece schizzare il cuore in gola.

Mi presi uno spavento enorme. Col respiro mozzo mollai il cellulare e mi

precipitai nell’altra stanza, dove i miei occhi si spalancarono.

Rigel era appoggiato al muro con i muscoli che tremavano e una sedia,

quella vicino alla finestra, ribaltata ai suoi piedi. I denti erano serrati

violentemente e le braccia, percorse da tremori incontrollabili, erano un

fascio di nervi sul punto di esplodere.

Lo fissai senza fiato, spaventata.

«Cosa…» non terminai. Vidi i suoi pugni serrati, le dita aggrappate alla

cornice con violenza. Emanava una tensione nevrotica e bruciante, e mi

mancò il fiato.

Stava avendo una crisi.

Rigel serrò gli occhi con forza e quel dolore invisibile lo spinse a un

delirio tremendo: cadde in ginocchio, il vetro gli si spezzò tra le dita e i

cocci gli tagliarono la pelle, macchiandosi di sangue. Si prese la testa tra le

mani, affondando convulsamente le unghie nei capelli neri, e io tremai

davanti a quella scena.

«Rigel…»

«Non avvicinarti!» sbraitò con una ferocia che mi spaventò.

Lo osservai con il cuore in gola, angustiata per quella reazione. Le sue

pupille erano dilatate, e i lineamenti così compressi da sembrare

irriconoscibili.

Non voleva farsi vedere in quello stato da me, non voleva farsi vedere da

nessuno, ma io non lo avrei mai lasciato solo. Cercai di fare un passo ma lui

scattò di nuovo.

«Ti ho detto di stare lontana!» ringhiò come una bestia.

«Rigel», sussurrai con voce disarmata e sincera. «Tu non mi farai del

male.»

I suoi occhi ferini mi fissarono da sotto i capelli scompigliati. Dentro

tutto quel dolore che li rendeva brutali, vidi l’urlo di una sofferenza che mi

spezzò il cuore.

Non ero incosciente, sapevo che gli attacchi potevano essere pericolosi

per chi gli stava intorno, tuttavia non temevo per la mia incolumità. Mi

avvicinai piano, cercando di mostrarmi indifesa, e lui mi fissò ansimante.

Avevo il terrore di spaventarlo, di scatenare in lui una reazione ancora più

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