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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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36. Come d’amaranto

“Quindi perdona la mia insufficiente dolcezza e prendimi

per quello che sono, perché se mi trovassi davanti a un muro

e sapessi che tu sei lì dietro ad attendermi, mi spaccherei

le labbra su quel muro per frantumarlo e arrivare a te.”

Massimo Bisotti

L’appartamento di Rigel era al terzo piano.

Il palazzo non aveva l’ascensore, ma le scale erano lustre come perle, ben

illuminate e terminavano in una grossa porta di legno scuro. Sul muro lì

accanto, la targhetta in ottone del campanello risplendeva del suo nome.

Almeno questo fu quello che potei vedere, il mattino seguente, prima che

mi coprisse gli occhi con una mano.

«Stai guardando?» indagò.

«No», risposi, sincera come una bambina. Avrei voluto contenere meglio

l’entusiasmo, ma ero certa sprizzasse come luce liquida dai miei pori.

«Non barare», mi ammonì nell’orecchio con la sua voce da brividi.

Piegai il viso, sorridendo perché mi aveva fatto il solletico. Amavo quando

si abbandonava a quei gesti così veri e giocosi. In quei momenti, Rigel mi

mostrava un lato di sé che mi faceva impazzire.

Cercai la serratura con le dita, per nulla agevolata da lui, ma quando la

trovai non ebbi difficoltà a farci scivolare dentro la chiave che mi aveva

passato.

Aprii la porta e una ventata di luce filtrò tra le sue dita.

«Sei pronta?»

Annuii, mordendomi le labbra, e a quel punto lui mi liberò la visuale.

Davanti a me si aprì un ambiente accogliente, luminoso, dal fascino

contemporaneo. I toni dei mobili, in stile moderno, si accompagnavano a un

design semplice, sulle sfumature del crema, dove il lucente pavimento di

legno scuro creava un contrasto accattivante. Tutto, dalle cornici delle

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