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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Lo fissai a bocca spalancata, sconvolta. Non si degnò nemmeno di

voltarsi a guardarmi mentre boccheggiavo a occhi sgranati.

«Non… Tu… Lo hai appena minacciato?»

«No», rispose senza esitare. «Gli ho dato un consiglio.»

Prima che potessi dire qualunque cosa, si voltò e mi diede una visione del

fastidio bruciante che gli induriva i tratti del viso.

Rigel mi lasciò il telefono tra le mani, scoccandomi un’occhiata rovente

da sotto capelli scuri.

«Fortuna», sibilò aspro, «che mi avevi detto che non ci provava con te.»

Sbattei le palpebre, ancora accigliata.

«Non ci provava… Fino ad ora non…»

«Sì, e immagino che in una classe di ottanta persone ti tenga il posto

perché si sente solo», masticò girandomi intorno.

Lo sentii sfiorarmi la schiena, e un brivido mi morsicò la pelle. Percepii il

suo corpo sovrastarmi e risvegliare in me un senso profondo di

appartenenza.

«Almeno lui mi ha chiamata…» sussurrai prima che potessi fermarmi.

Sentii quella frase bruciarmi sulle labbra e me ne pentii all’istante.

Rigel si fermò di scatto, incombendomi addosso.

«Prego?»

Mi tirai le maniche sulle mani, consapevole che ormai non potevo

rimangiarmi ciò che avevo detto. Dentro di me qualcosa mi spinse invece a

prenderne atto e seguire quella scia pungente che mi tormentava da ore.

«Non un cenno. Non un segno di vita… Sono le cinque e mezza di

pomeriggio, Rigel. Mi fai venire a questo indirizzo senza una spiegazione e

ti presenti qui così, arrabbiato e intrattabile…»

In realtà mi emozionava oltre ogni dire che si fosse presentato lì così,

perché solo ad averlo intorno la mia anima risplendeva di un delirio

luminoso. Ma non potevo fingere di non essere ferita dal fatto che mi

avesse ignorato tutto il giorno.

«È perché sono stato scortese con il tuo amichetto?»

«Non voglio parlare di Will. Non mi importa di lui adesso!» la mia voce

si indurì e io assottigliai le palpebre.

Le mie gambe si erano tese e io ero quasi in punta di piedi, con le dita

strette e i capelli che mi sfioravano i fianchi.

«Mi importa che… in un giorno così importante, tu…»

«…Pensavi che mi fossi dimenticato?»

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