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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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«Beh, anche loro hanno motivo di esistere», replicai schietta, inclinando

il viso. «Non credi?»

«Spiegalo alla signora Finch», rispose Norman, guardandomi con

quell’espressione eloquente, come se io fossi un po’ birbante. Avevamo

sempre avuto vedute diverse sul suo lavoro e non perdevo occasione di

iniettargli un po’ del mio modo di pensare.

Qualche anno prima non mi sarebbe nemmeno passato per la testa, ma

crescere per me aveva significato prendere confidenza con il mondo,

rafforzare le mie certezze e imparare a non temere il giudizio della mia

famiglia.

Inclinai la testa e lo salutai, prima di voltare con trepidazione il telefono

che ancora stava squillando.

No, non era lui.

Era Billie.

Una goccia di delusione mi macchiò il cuore. Non c’era nulla che mi

facesse più piacere che sentire le mie amiche, ma nonostante questo non

riuscii a reprimere la punta di sconforto che mi invase il petto nel vedere

che non era il suo nome quello che lampeggiava sullo schermo.

Che si fosse dimenticato?

Non poteva aver scordato un giorno così importante… vero?

Deglutii l’amarezza e mi premurai di rispondere.

«Pronto?»

«Auguri!» mi scoppiò nell’orecchio, facendomi barcollare.

«Billie», ridacchiai frastornata. «Me li hai già fatti gli auguri, ci siamo

sentite stamattina!»

«Hai aperto il nostro regalo?» mi domandò curiosissima, accennando al

pacco che lei e Miki mi avevano fatto mandare a casa.

«Oh, sì», risposi, passeggiando sotto il porticato. «E siete… matte!»

«Allora ti piace?»

«Moltissimo», sussurrai sincera. «Ma non dovevate. Chissà quanto vi è

costata…»

«Mi sono fatta consigliare da papà», mi ignorò lei, eccitata. «Dice che è

una delle migliori sul mercato. Fa delle istantanee stupende, e devi vedere

che tenuta di colori! L’hai già provata? Ti abbiamo messo delle pellicole, le

hai viste?»

«Sì, ne ho già fatta una», tirai fuori una foto dalla tasca dei jeans,

guardandola con dolcezza. Anna e Norman, nella nostra sala da pranzo,

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