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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Mentre il tarlo reclamava le sue labbra invitanti, Rigel pensò che avrebbe

potuto dirle qualsiasi cosa di tutto quello che si era sempre portato dentro,

proprio lì e proprio adesso.

Proprio alla fine di tutto.

Che l’aveva amata ogni giorno, da quando era solo una bambina.

Che l’aveva odiata perché non sapeva nemmeno cosa fosse, lui, l’amore,

e poi aveva odiato se stesso per lo stesso identico motivo.

Che lei gli faceva bene in un modo che faceva quasi male, perché ogni

fiore dentro di lui mordeva e aveva spine proprio come quella rosa che

stringevano tra le dita.

Avrebbe potuto dirle tante cose, tutte insieme lì, contro il suo orecchio.

Avrebbe potuto sussurrarle: “Ti amo fino alle ossa”.

Invece, stringendo le dita tra i suoi capelli, scelse di dirle…

«Tu sei… il mio fabbricante di lacrime».

E Nica, così dolce, piccola e fragile, sorrise. Sorrise con le lacrime e con

le labbra.

Perché era come se le stesse dicendo…

Sei il motivo per cui posso piangere, e la ragione per cui sono felice.

Sei il motivo per cui la mia anima è piena e sente, sente tutto ciò che può

sentire.

Sei il motivo per cui sopporto qualsiasi dolore, perché vale la pena

infilarsi nella notte per vedere le stelle.

Sei tutto questo per me, e più di quanto saprei dire.

Più di quanto chiunque potrebbe mai capire.

La baciò, affondando nella sua bocca. Le divorò le labbra piano, con

lentezza, trovandole morbide e dolci da far impazzire.

Nica gli prese il viso tra le mani e per la prima volta Rigel pensò che ci

fosse sollievo in quel dolore incredulo che solo lei era in grado di

infliggergli.

Perché quei petali e quelle spine avrebbero sempre fatto parte di lui.

Dall’inizio alla fine.

E che si trattasse della rosa che stringeva in mano, o di quelle che si

portava dentro… non era importante.

I fiori che lei gli aveva donato, dopotutto, erano uguali.

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