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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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sembrava una luce capace di qualsiasi cosa.

Rigel era in piedi accanto alla finestra. I capelli neri gli incorniciavano il

viso e le spalle forti risaltavano contro le vetrate; aveva una mano infilata in

tasca in un modo che lo rendeva tragicamente ammaliante.

Mi presi un momento per guardarlo in silenzio.

Lo rividi bambino, con quel visetto da angelo e gli occhi così neri.

Lo rividi a sette anni, con le ginocchia sbucciate e i miei nastri tra le

mani.

Lo rividi a dieci, con una candelina davanti e lo sguardo perso nel vuoto.

Lo rividi a dodici anni, occhi guardinghi e mento basso, e poi a tredici, a

quattordici e a quindici, quella bellezza spregiudicata che sembrava non

arrestarsi mai.

Rigel che non si lasciava sfiorare, che zittiva con la sua intelligenza, che

gettava indietro la testa e scoppiava in una risata priva di gioia. Rigel che

schioccava sfrontatamente la lingua, che terrificava solo con un’occhiata -

Rigel che mi osservava da lontano, di nascosto, occhi di ragazzo ma cuore

da lupo.

Rigel, così raro, contorto, ombroso e affascinante.

Lo guardai in tutto e per tutto, e non riuscii a credere che fosse… mio.

Che dentro di lui quel cuore da lupo portasse silenziosamente il mio

nome.

Non lo avrei più lasciato andare.

«Dunque ci siamo», sentì.

Rigel voltò il capo e vide Nica avvicinarsi con le mani intrecciate dietro

la schiena. I lunghi capelli ondeggiavano piano, e c’era qualcosa di

assolutamente brillante in quei pozzi di stelle che aveva per occhi.

Si fermò vicino a lui, accanto alla finestra.

«Allora, Rigel? Ti arrendi a non scappare più?» gli chiese Nica. «Ti

arrendi a me?»

Rigel la guardò da sotto le ciglia.

«Tu ti arrendi a me?» domandò a sua volta, con voce roca e calma. La

osservò profondamente e sussurrò: «Ti arrendi… a ciò che sono?»

Nica sollevò gli angoli delle labbra. Lo guardò in quel modo che gli

scioglieva l’anima tra le ossa e rispose: «Io l’ho già fatto».

*

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