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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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34. Guarire

“«Ma di cosa sei fatta tu?»

«Di quello che ami», disse lei. «Più l’acciaio.»”

Ernest Hemingway

Il recupero di Rigel richiese del tempo.

Passarono diversi giorni prima che riuscisse a ristabilire completamente i

cicli del sonno-veglia, e altrettanti ne servirono per permettere al suo corpo

di recuperare la padronanza di ogni singolo stimolo e movimento.

Riacquistò piena lucidità e, nonostante gli impedimenti fisici che lo

inchiodavano al letto, non impiegò molto prima di rivelare tutta la

sfumatura… indocile del suo carattere.

D’altro canto, se c’era una cosa che non aveva mai sopportato era

ricevere cure e apprensioni, qualunque esse fossero. Forse perché, a causa

della malattia, si era ritrovato a rifuggirle così tante volte che questo col

tempo aveva finito per generare una sorta di repulsione verso chiunque lo

avvicinasse con la preoccupazione negli occhi.

Perciò, mentre lottava per risvegliarsi, non doveva aver fatto i conti con

l’eventualità di vedersi tutti i giorni costretto alle cure amorevoli di perfetti

sconosciuti.

Soprattutto dal corpo delle infermiere.

Nel corso di quelle settimane, tutte avevano amato quel ragazzo

affascinante dall’aspetto di un angelo che dormiva un sonno ingiusto e

lottava per la sua vita; e tutte lo avevano accudito con premura,

cambiandogli le fasciature e fissandolo come un sogno troppo fragile per

durare.

Ora che quel ragazzo aveva aperto le palpebre, rivelando due magnetici e

irriverenti occhi da lupo, l’aria sembrava crepitare di elettricità ed

esaltazione.

Cosa che, com’era facile immaginare, non piacque né ai dottori, né alla

caposala, né tanto meno a Rigel.

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