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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Restarono dritti davanti a me, fragili e veri, stremati occhi da lupo che

rimandavano il mio riflesso.

«Rigel…» tremai violentemente, troppo annientata per crederci.

Ma non lo stavo immaginando. Rigel mi stava guardando.

Quello non era un sogno.

Rigel aveva aperto gli occhi.

La mia fronte si spaccò in solchi e il suo nome mi si ruppe sulle labbra:

mi lasciai finalmente andare e quel vuoto divorante esplose fuori di me,

insieme a un terremoto di angoscia e dolori.

Il mio corpo venne attraversato da una gioia così intensa da spezzarmi il

respiro. Mi abbandonai con la testa sul suo petto, priva di energie, e i suoi

occhi furono per me il miracolo più bello di tutti.

Più amato di qualsiasi cielo.

Più desiderato di qualsiasi favola.

Perché è vero che esiste una storia per ognuno di noi, è vero, ma la mia

non era mondi scintillanti o ghirigori dorati, no… La mia aveva roseti di

spine e palpebre aperte su galassie di stelle.

Aveva costellazioni di brividi, e rovi di rimpianti, e io li strinsi

disperatamente, li abbracciai uno ad uno fino all’ultima spina.

Portai una mano sulla guancia di Rigel, singhiozzando, e lui continuò a

guardarmi come se, pure nella confusione completa che stava provando in

quel momento, capisse di avere davanti un volto che smuoveva in lui un

sentimento profondissimo e sconfinato.

E io… io non distolsi gli occhi dai suoi.

Nemmeno per un momento.

Nemmeno quando allungai la mano di lato e spinsi il pulsante per

chiamare le infermiere… O quando arrivarono di corsa, ed esplosero voci

incredule.

Nemmeno quando tutto il reparto precipitò nello sconvolgimento più

inaspettato.

Restai con lui per tutto il tempo, incatenata al suo sguardo anima e corpo.

Restai con lui esattamente come avevo fatto ogni notte nei miei sogni, e

ogni giorno di ogni settimana.

Restai con lui senza mai andarmene, fino…

Fino alla fine.

Passò un po’ prima che Rigel riuscisse a parlare.

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