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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Le ombre sotto le palpebre si infossavano, e più gli tenevo la mano più

sentivo la sua pelle farsi labile sotto le dita; più lo guardavo dormire in quel

modo, più lui appassiva davanti ai miei occhi.

Io gli narravo vecchie leggende, certi racconti di lupi che tornano a casa,

ma mentre al giorno lottavo nella luce e nella speranza, la notte il desiderio

di vederlo aprire gli occhi mi sfibrava l’anima e il respiro.

«Svegliati», lo imploravo al buio, come una preghiera. «Svegliati, Rigel,

ti prego, non mi lasciare - non riesco neanche a esistere senza i tuoi occhi e

questo mio cuore di falena non sa scaldarmi, non sa fare altro che questo,

bruciarsi e tremare; svegliati e prendimi per mano, ti prego, guardami e

dimmi che siamo eterni insieme. Guardami e dimmi che sarai sempre con

me, perché il lupo muore in ogni storia ma non in questa… In questa vive,

ed è felice, e cammina mano nella mano con la bambina. Ti prego…

svegliati…»

Ma Rigel restava immobile, e nel cuscino io soffocavo lacrime che non

volevo permettergli di sentire.

«Svegliati», gli sussurravo fino a spaccarmi le labbra.

Lui, però… non si svegliava mai.

Venni dimessa qualche giorno dopo, sotto lo sguardo rincuorato del

dottore.

Nei suoi occhi confortati, lessi tutto il sollievo di vedermi in piedi,

guarita e in salute, pronta ad andare via. Non poteva sapere che il mio cuore

sanguinava esattamente come il primo giorno, dilaniato, perché un pezzo di

me risiedeva ancora dentro quella stanza.

Lentamente ripresi ad andare a scuola.

Il primo giorno, come pure i successivi, fu impossibile non accorgersi

degli occhi sempre puntati addosso; i bisbigli mi seguivano ovunque

andassi, e tutti ancora parlavano dell’incidente.

Quello stesso giorno, venni a sapere che Lionel si era trasferito in

un’altra città.

La mia vita riprese a scorrere, flemmatica e ordinaria, ma non passava

giorno in cui io non andassi a trovare Rigel.

Gli portavo nuovi mazzi di fiori, sostituendoli a quelli vecchi; continuavo

a raccontargli storie e facevo i compiti su una sedia vicino al muro; gli

ripetevo geografia, e biologia, e insieme studiavamo la letteratura.

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