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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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«Oh no, io non sono mai stato il buono», aveva sibilato con quel

sarcasmo crudo che gli veniva dall’anima. «Vuoi vedere quanto posso

essere cattivo?»

Glielo avrebbe dimostrato volentieri, se non si fosse ricordato che Nica

era lì.

Si era voltato per cercarla con lo sguardo.

Lei stava osservando.

E davanti a quegli occhi splendenti Rigel non era riuscito, ancora una

volta, a guardarsi per il mostro che era.

Esisteva una pena peggiore delle crisi.

E quella era in grado di infliggergliela soltanto lei.

«Siamo rotti insieme», aveva sussurrato Nica. «Ma tu non mi fai mai

entrare, nemmeno per un momento.»

E Rigel aveva rivisto i vetri rotti, i tagli sulle mani.

Aveva rivisto l’erba strappata e il sangue sulle dita.

Aveva rivisto se stesso, così lupo e così solo, e non era riuscito a

sopportare l’idea di farla entrare in quel disastro da cui nemmeno lui

sarebbe mai stato libero. Di vederla toccare quella parte così nuda e

rabbiosa, che gli massacrava l’anima e urlava di dolore come una creatura

viva.

Così era rimasto in silenzio. Ancora una volta.

E il suo sguardo deluso gli aveva scavato il cuore come una cicatrice.

Avrebbe voluto amarla.

Viverla.

Respirarla.

Ma la vita gli aveva insegnato soltanto a graffiare e strappare.

Non avrebbe mai saputo amare con gentilezza. Nemmeno lei che della

gentilezza era l’incarnazione vivente.

E nel vedere quegli occhi bellissimi riempirsi di lacrime, Rigel aveva

capito che se c’era un prezzo da pagare, per salvarla da se stesso, gli

sarebbe costato tutto.

Tutto quello che aveva.

Ogni singolo petalo, per quell’amore dal mancato finale.

Prima o poi sarebbe arrivato quel momento.

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