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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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allungavano sulle fronde. Da sopra il ponte l’acqua riluceva con riflessi

nitidi e sfavillanti.

Rigel, un passo davanti a me, era un profilo stagliato nell’aria

rosseggiante. Guardava nella direzione che gli avevo indicato, i capelli neri

che gli danzavano intorno al capo. Quella luce così calda faceva sembrare i

suoi occhi ancora più brillanti.

Tornare a casa da scuola con lui era uno dei momenti che amavo di più,

adesso. Non erano occasioni particolari, ma c’era pace nel modo in cui

potevamo starci accanto sotto gli occhi degli altri, senza timore. Eravamo

abbastanza lontani da tutti e da tutto perché potessimo mettere da parte il

mondo per un istante.

«Sono belli, vero? Tutti quei colori», mormorai mentre l’acqua rollava in

lontananza sotto di noi, rilucendo di riflessi simili al miele.

Ma io non stavo guardando il fiume; io stavo guardando lui.

Rigel se ne accorse. Lentamente, si voltò verso di me.

Incrociò i miei occhi, forse perché anche lui aveva imparato a capire

qualcosa di noi, quel qualcosa che viaggiava sui nostri sguardi ed era

invisibile all’attenzione degli altri. I nostri silenzi avevano parole che

nessun altro poteva sentire, ed era lì che eravamo destinati ad incontrarci:

tra le cose non dette.

Aspettò che lo raggiungessi piano, con quella delicatezza che non

mancavo mai di avere quando mi avvicinavo a lui. Mi fermai a una

vicinanza che potesse essere considerata accettabile; anche se non c’era

nessuno, anche se persino gli operai che trafficavano ai lavori erano già

andati via, eravamo all’aperto e c’erano limiti che non potevo dimenticare.

«Rigel… C’è qualcosa che ti preoccupa?»

Sostenni gli occhi con cui mi stava osservando, e ci vidi dentro qualcosa

che mi spinse a continuare.

«Sei distante. Sono un po’ di giorni che qualcosa sembra turbarti.»

No, turbato non era il termine giusto.

Era qualcosa di più profondo.

Era qualcosa che non sapevo riconoscere, e questa sensazione non mi

dava pace.

Rigel scosse lentamente il capo, distogliendo lo sguardo da me. Lo puntò

in lontananza, laddove il fiume si perdeva in un nastro indefinito tra gli

alberi.

«Non mi sono mai abituato», ammise con voce fioca.

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