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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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«Così?» la incalzò una voce profonda.

Inspiegabilmente mi tesi. Si trattava di Rigel. Era stato lui ad aprirle, e

ora, altero, la fissava con diffidenza.

«Così… Come se fossi sempre nel posto sbagliato», disse lei con il

sorriso ammaccato. Le sue iridi chiare lo guardarono con una complicità

unica. «Mi hai chiesto di restarne fuori e lo sto facendo. L’ho sempre

fatto… Sbaglio?»

Che voleva dire?

Fuori da cosa?

Si scambiarono un lungo sguardo prima che Rigel distogliesse gli occhi,

e in quelli di Adeline vidi luccicare qualcosa che non seppi definire.

Qualcosa troppo pieno di bisogno, calore e compassione, e lui se lo lasciò

scivolare addosso, o più semplicemente non lo vide.

Ma io sì. E ancora una volta ebbi la sensazione che mi mancasse

qualcosa, che fossi rimasta indietro, che non sapessi di che parlavano…

Dietro quegli occhi neri c’era un mondo che non potevo toccare.

Un’anima che Rigel non aveva permesso mai a nessuno di vedere.

Allora perché?

Perché lei ne parlava come se capisse?

Come se sapesse?

In quel momento si accorsero di me.

Gli occhi di Adeline lampeggiarono e si puntarono nei miei, e io incrociai

lo sguardo di Rigel. L’urgenza con cui sembrò chiedersi cosa avessi udito

mi fece sentire ancora più fuori posto.

«Nica,» Adeline mi sorrise esitante, «ciao…»

«Ciao», emisi col cuore confuso e frastornato. Lei prese un pacchetto

dalla borsa.

«Ho portato un dolce», disse imbarazzata. «Volevo prendere dei fiori, ma

visto che Anna li vende mi sembrava sciocco…» Si avvicinò, guardandomi,

e mi sorrise con dolcezza. «Sei bellissima», sussurrò, come se il fiore più

bello fossi io.

La seguii con lo sguardo quando mi superò. Nel momento in cui tornai a

voltarmi, Rigel venne verso di me.

I pensieri tacquero e per un momento dimenticai quello che avrei voluto

dirgli.

Indossava un paio di pantaloni scuri e una camicia bianca che gli fasciava

il petto in maniera impeccabile. La stoffa candida non stonava affatto con il

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