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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Nei giorni seguenti arrivarono altri splendidi mazzi. Ognuno con lo

stesso bigliettino raffigurante una lumaca.

Anna me li faceva trovare già dentro un vaso, quando tornavo a casa.

Un pomeriggio arrivò anche un pacchetto di caramelle gommose a forma

di coccodrillo. Mi ritrovai a stritolarlo tra le dita prima di infilarlo dentro un

cassetto per togliermelo dalla vista. Il giorno dopo ne trovai altri due

pacchettini infiocchettati sul tavolo.

«È un suo ammiratore», bisbigliò Anna a Norman una sera, e lui emise

un “Ooh” cospiratorio che gli sollevò all’aria il lungo naso.

A Klaus, invece, non piaceva tutto quel movimento. Soffiava ai vasi che

Anna lasciava sui mobili e rosicchiava quelli che non avevano la fortuna di

trovarsi abbastanza in alto. Sembrava capire che non li portava lei, ma

qualcun altro.

Una sera sentii un fruscio provenire dalla cucina. Accesi la luce e trovai

due occhi gialli che mi fissavano con un petalo candido che spuntava da

sotto i baffi.

«Klaus…» mormorai, esasperata. Mi avvicinai e lui ruotò le orecchie

all’indietro, riprendo a masticare con sfida. «Avanti… Vuoi avere di nuovo

mal di pancia?»

Sgusciò via prima che potessi metterlo giù dal bancone: farsi prendere in

braccio era per lui, probabilmente, ben peggiore del mal di stomaco.

Sospirai piano, osservando quel mazzo di rose bianche. Sfilai via il

bocciolo che aveva distrutto e lo rigirai tra le dita. Sapevo già cosa recitava

il bigliettino. Anche senza bisogno di aprirlo. Avevo smesso di leggerli

perché quelle parole mi facevano soltanto male.

Trovai Rigel vicino alla porta quando mi voltai. La sua presenza spiccava

tra le ombre e gli occhi erano diamanti scuri nel buio della casa. Le iridi

nere scivolarono fino alla rosa bianca che tenevo tra le dita.

Non aveva detto nulla in quei giorni. Eppure sapevo come interpretarlo.

Avvicinarmi a lui aveva anche significato imparare a capire i diversi silenzi

di cui si vestiva.

«Non contano nulla», sussurrai prima che si voltasse. Non volevo che i

suoi traumi e le sue diffidenze lo allontanassero da me, anche se fin da

bambino gli avevano ammalato il cuore.

«Però non li hai buttati.»

Mi diede le spalle e io mi morsi le labbra, desiderando abbattere tutti i

muri che ancora c’erano tra di noi. A volte mi sembravano una scala

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