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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Rigel non mi baciava, mi divorava lentamente.

E io mi lasciavo divorare, perché non desideravo nient’altro.

Smarrita, gli mordicchiai incautamente il labbro inferiore e quel gesto gli

strappò un mugolio gutturale. Mi afferrò una coscia e mi tirò su: mi ritrovai

seduta in braccio a lui, le sue dita impresse dietro il ginocchio e l’altra mano

chiusa sul mio fianco a spingere il mio bacino contro il suo.

Mi mancò il respiro.

Cercai di incamerare fiato ma Rigel non me ne lasciò il tempo: la sua

bocca calda e vorace si impossessò della mia, stordendomi, piegandomi,

mordendomi con possesso, e io mi aggrappai a lui, impacciata, cercando di

stargli dietro. Le mie caviglie divennero inermi e tremolanti. Ricambiai con

la mia dolcezza e, in risposta, le sue mani mi premettero contro il suo

inguine con una forza tale che trattenni il fiato. Quel contatto mi bruciò

anche l’anima. La mia testa vorticò e il mio respiro divenne affannoso. Mi

sfregò contro di lui e la frizione tra i nostri corpi fu qualcosa di

sconvolgente. Provai una sensazione simile al panico, ma più calda,

vischiosa e urgente.

Cercai di muovermi ma le sue dita me lo impedirono. Le sue mani

affondarono nei miei fianchi, stringendoli con possesso, come se

desiderasse fondersi con me.

Rigel mi tenne ferma, costringendomi a sentire quel contatto incendiario

tra di noi, e questa volta quando mi morse non riuscii a reprimere un

gemito. Mi avvinghiai alle sue spalle e strinsi le ginocchia sempre di più, le

cosce che tremolavano contro i suoi fianchi.

Tutto si ridusse a lui.

Alla sua mano sul mio fianco.

Alla pressione del suo bacino.

Alle labbra, i respiri, le lingue, le mani…

Non riuscii a immaginare cosa sarebbe successo se non ci avessero

interrotti.

Suonarono alla porta e io trasalii come mai avevo fatto prima.

La sua bocca si staccò dalla mia e il mondo riaffiorò a fatica. Mi accorsi

di avere il respiro corto, le guance arrossate e le mani che tremavano.

Rigel piegò il viso, ansimando lievemente nell’incavo della mia gola. Le

sue dita erano ancora incastrate nella curva del mio fianco come se si

fossero fuse alle mie ossa e i muscoli gli fremevano appena, come se

fossero sotto sforzo costante. Aveva più autocontrollo di me, più esperienza.

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