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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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«Ti ricorda… Lei?»

Il ricordo della tutrice ancora generava mostri dentro i miei incubi. Rigel

mi aveva confessato di odiarla, eppure in qualche modo se la portava

addosso fin da bambino.

«Mi ricorda… ciò che sono sempre stato.»

Solo, potei quasi sentire, abbandonato sul ciglio di un cancello chiuso, e

all’istante desiderai che smettesse di suonare.

Desiderai strappargliela via dall’anima, ripulirlo, togliergli ogni traccia di

quella donna.

La volevo lontana da Rigel.

L’idea che gli avesse donato amore, con le sue mani piene di botte e quei

suoi occhi sporchi di rabbia, mi tormentava.

Lei era una malattia.

Il suo affetto era un livido.

E glielo aveva impresso sul cuore per così tanto tempo che alla sola idea

la mia anima si rivoltava.

«Perché?» chiesi con voce sottile. «Perché allora continui a suonare?»

Non lo capivo. Era come grattarsi una crosta e sapere che avrebbe ripreso

a sanguinare.

Rigel tacque un momento, come se stesse raccogliendo dentro di sé una

risposta. Amavo i suoi silenzi tanto quanto mi facevano paura.

«Perché le stelle sono sole», recitò amaro.

Cercai di capire il significato di quelle parole così tristi, ma fu

impossibile.

Sapevo che Rigel stava cercando di darmi una risposta, a modo suo, ma

per la prima volta desiderai che lui mi spalancasse le porte del cuore e mi

lasciasse capire finalmente la chiave di quel linguaggio segreto.

Volevo sapere tutto di lui.

Tutto.

Ogni pensiero, sogno e paura.

Ogni timore, desiderio e ambizione.

Desideravo entrargli nel cuore come lui era entrato nel mio, ma avevo

paura di non trovare la strada.

Forse Rigel non sapeva in che altro modo esprimere se stesso.

Forse ci riusciva soltanto così, donandomi pezzi poco a poco, sperando

che io riuscissi a metterli insieme.

E io avrei voluto esserne all’altezza.

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