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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Lui non era come gli altri.

Percepì l’uomo guardarlo intensamente, come incuriosito dalla sfumatura

che albergava dentro i suoi occhi.

«Cos’è l’amore per te?»

«Un tarlo», mormorò Rigel. «I suoi morsi non guariscono mai.»

Quando si accorse di aver aperto bocca era troppo tardi. Aveva parlato a

se stesso, non a lui. Era una riflessione che si portava dentro da sempre.

Ma il dottore ora lo fissava, e Rigel sentì ogni briciola del suo corpo

rifiutare quello sguardo. Lo trovò repellente, oppressivo, qualcosa da

togliersi subito di dosso.

Si era perso per un istante dentro se stesso, e Nica gli aveva tirato fuori

l’inconfessabile. Si ripromise che non sarebbe accaduto ancora.

Distolse gli occhi e tornò a vagare per la stanza come una belva in

gabbia.

«So della tua condizione.»

Rigel si bloccò. All’istante.

«La mia… condizione?»

Quindi Anna gli aveva parlato di lui.

Ruotò piano le spalle, voltandosi lentamente.

«Non avere timore», disse il dottore, sereno. «Vuoi accomodarti sulla

poltrona?»

Rigel non si mosse. Lo fissò in viso, e nelle sue iridi brillava una luce

talmente appuntita da sembrare uno spillo.

Il dottore gli mostrò un sorriso rassicurante.

«Non immagini quanto faccia bene, a volte, parlare. Sai come si dice? Le

parole permettono di leggere l’anima.»

Leggere… l’anima?

«Tutti sono un po’ tesi all’inizio… è normale. Perché non ti accomodi

sulla poltrona?»

«Leggere…» questa la eco nella sua mente mentre osservava la chaise

longue, «…l’anima?»

Tornò ad alzare il viso verso il dottore. Lo guardò con i suoi occhi neri da

squalo. Poi, di punto in bianco… sorrise. Le labbra si schiusero sui denti in

uno dei suoi capolavori migliori.

«Prima di iniziare… mi piacerebbe chiederle una cosa.»

«Come dici?»

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