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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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«Alla prossima settimana, Timothy», lo salutò. «Dunque, il prossimo

appuntamento è…»

Lasciò vagare lo sguardo fin quando non vide me e Rigel.

«Oh, voi dovete essere i figli della signora Milligan», proruppe, e sulla

mandibola di Rigel scorsi un muscolo contrarsi. «Siete già arrivati, bene…

Signorina, vuoi iniziare tu?»

Mi mordicchiai le cuciture dei cerotti, tesa, e poi mi alzai.

Lui sorrise, lasciandomi entrare.

«A dire il vero… Anna non è ancora la nostra mamma adottiva», precisai

in un filo di voce.

Il dottore mi guardò riconoscendo il suo errore.

«Chiedo scusa», disse. «La signora Milligan mi ha informato

dell’adozione. Non avevo capito che il processo fosse ancora in corso.»

Strinsi le mani, sentendole sudare, e lui notò il mio nervosismo.

Aveva uno sguardo profondo, accorto, ma l’attenzione che emanava non

trasmetteva soggezione, solo un’inaspettata sensibilità.

«Hai voglia di parlare un po’ con me?» mi domandò.

Deglutii. Sentivo il mio corpo tremare, sussurrare di no, ma cercai di non

dargli ascolto.

Volevo farlo per me.

Volevo provarci.

Anche se il terrore mi annodava le viscere e la realtà premeva per

schiacciarmi.

Lentamente, annuii. Mi costò uno sforzo enorme, forse il più grande che

avessi mai fatto.

Un’ora dopo varcai di nuovo quella porta.

Mi sentivo molliccia, tesa e pulsante. Gli avevo raccontato un po’ della

mia infanzia, ma non ero riuscita a parlargli dei miei traumi perché ogni

volta che tentavo di addentrarmi dentro le porte della mia mente le ansie mi

aspettavano in agguato.

Mi ero agitata, bloccata e ammutolita tante volte. Avevo detto solo poche

cose, stentate e tremolanti, ma lui mi aveva detto comunque che ero stata

brava. Era stata la mia prima volta.

«Possiamo rivederci, se ti va», mi disse con tono gentile. «Senza fretta.

Magari la prossima settimana.»

Non mi forzò a una risposta, lasciò invece che la assimilassi in silenzio,

cercandola dentro di me. Poi alzò lo sguardo su Rigel.

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