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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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affascinati dal taglio raro dei suoi occhi e le ali belle come velluto, la grazia

con cui si muoveva al di sopra di tutte le altre.

Rigel era l’esemplare da collezione, quello che non aveva eguali; quello

che non portava addosso l’insignificanza degli altri orfani, ma se ne vestiva,

indossando quel grigiore come un vello che su di lui stava d’incanto.

Eppure, ogni volta che qualcuno esprimeva il desiderio di adottarlo, lui

sembrava fare di tutto per rovinare le cose. Combinava disastri, scappava, si

comportava male. E alla fine le persone andavano via, ignare di cosa

fossero in grado di creare le sue mani su quella dentatura bianca di tasti.

Ma quel giorno no. Quel giorno aveva suonato, aveva attirato

l’attenzione su di sé invece che scoraggiarla.

Perché?

«Faresti meglio ad andare a dormire, falena», insinuò la sua voce sottile e

beffarda. «Il sonno ti gioca brutti scherzi.»

Ecco cosa faceva… Mi mordeva con le parole. Lo faceva sempre. Mi

sfiorava con le sue provocazioni e poi mi stritolava in un sorriso, facendomi

dubitare fino a non rendermi più sicura di niente.

Avrei dovuto disprezzarlo. Per il suo carattere, il suo aspetto, il modo in

cui sapeva sempre rovinare le cose. Avrei dovuto farlo, eppure… una parte

di me non ci riusciva.

Perché io e Rigel ci eravamo visti crescere, avevamo passato la vita tra le

sbarre della stessa prigione. Lo conoscevo fin da bambino, e una parte della

mia anima lo aveva visto ormai così tante volte da non provare più il crudo

distacco che avrei voluto. Mi ero abituata a lui, in uno strano modo,

sviluppando quell’empatia verso una persona con cui si è condiviso

qualcosa per tantissimo tempo.

Non ero mai stata brava a odiare, io. Per quanto ne avessi i motivi.

Forse, nonostante tutto, speravo ancora che quella potesse essere la

favola che volevo…

«Cos’è successo con quel ragazzo, oggi?» domandai. «Perché vi siete

messi le mani addosso?»

Rigel inclinò lentamente il volto, forse chiedendosi come mai non me ne

fossi già andata. Ebbi l’impressione che i suoi occhi mi stessero valutando.

«Divergenze di pensiero. Nulla che ti riguardi.» Mi fissò per indurmi ad

andare via, ma non lo feci.

Non volevo farlo.

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