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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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c’erano un paio di quadri astratti che nonostante la pazienza non riuscii a

interpretare.

Arrischiai un’occhiatina alla persona accanto a me.

Rigel aveva le braccia conserte, la caviglia appoggiata di traverso sul

ginocchio e la bocca era stropicciata in un’espressione contrariata.

Era irritato. Molto irritato.

Il suo corpo emanava tutto il fastidio di trovarsi lì, incastrato da Anna

con la frase: «Già che ci va Nica… perché non provi anche tu? Potresti

scoprire che ti trovi bene…»

Potevo capire il suo stato d’animo: insomma, Rigel che parlava a

tavolino di se stesso?

Rigel, che si era costruito una maschera talmente spessa da coprirgli

anche il cuore?

Era un’idea così assurda da risultare inconcepibile.

Percorsi il profilo del suo viso. La mandibola virile era tesa, il labbro

superiore appena arricciato. Era magnifico e accattivante come sempre,

anche così infastidito.

In quel momento notai la ragazza seduta in fondo. Aveva una rivista

davanti al viso, le gambe serrate e gli occhi letteralmente spalmati su Rigel.

Lo fissava con così tanta intensità che mi sorpresi di non vedergli la pelle

colargli sulle ossa.

Le sue guance arrossirono quando Rigel reclinò il capo contro il muro.

La copertina tra le sue mani si stropicciò appena.

In quel momento la guardai meglio… E vidi che aveva due splendidi

occhi castani e un visetto estremamente fine.

Era carina. Molto…

Con una sensazione che non seppi definire, mi chiesi se lui l’avesse

notato.

Mi voltai.

Rigel aveva la testa appoggiata contro il muro e il volto ruotato di lato. E

lo sguardo… Lo sguardo era puntato sulla mia mano, vicino alla sua gamba.

Nemmeno mi ero accorta di sfiorare il suo ginocchio. Sembrava assorto,

come se, nonostante il fastidio che provava, quello fosse il punto giusto per

incantarsi…

«Arrivederci!»

Un signore ben vestito sbucò dalla porta davanti a noi. Tenne aperto per

fare uscire un uomo sulla quarantina.

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