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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Il violino rimbombò dentro la custodia e lui si portò una mano alla testa,

massaggiandosi con una smorfia.

«Certo che per ragionare con il cervello sei proprio una testa di cazzo»,

declamò Miki a denti stretti, e quello pose fine alla conversazione.

Billie mi aveva detto di non credere mai alle voci di corridoio, poiché il

più delle volte erano bugie. Ecco perché, mentre uscivo dall’aula con la

scusa di andare in bagno, mi ritrovai a sperare che avesse ragione.

I miei passi affrettati risuonarono nel corridoio deserto. Sfilai davanti alla

fila di armadietti finché non vidi la porta bianca in fondo. Notai che era

socchiusa.

Con un pizzico di coraggio sbirciai dentro, poi aprii, mi infilai nella

stanza e mi richiusi la porta alle spalle.

Due occhi si sollevarono su di me.

Rigel era seduto nel bel mezzo dell’infermeria.

«Ho saputo quello che è successo», dissi senza giri di parole. Notai

subito l’arrossamento sul suo zigomo bianco, accompagnato dal taglio che

gli aveva spaccato la pelle.

Stai bene? avrei voluto chiedergli, ma un brutto presentimento dentro di

me mi spinse invece a domandargli: «È vero?»

Rigel mi fissò a viso basso.

«Cosa?»

«Rigel…» sospirai sfiancata. Era sempre così con lui, ogni parola

un’insinuazione che si spaccava in quattro.

«Lo sai. È vero?»

«Dipende», rispose lui con ostentata noncuranza. «A quale parte ti

riferisci?»

«A quella in cui hai spaccato il naso a Jason Gyle durante la lezione di

baseball.»

Da quel che si diceva in giro, Gyle aveva solo avuto la sfortuna di

trovarsi sulla traiettoria quando Rigel aveva colpito la palla durante la

simulazione. Peccato che Gyle fosse stato quello ad avergliela tirata, la

palla. E dal modo in cui Rigel ci aveva schiantato contro la mazza,

spedendogliela indietro con una forza che avrebbe potuto sfondare il muro

del suono, il colpo, invece che finire in parabola, era finito dritto sul naso di

Gyle.

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