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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Un piccolo pipistrello era entrato dalla finestra aperta e ora si dimenava

nel salone pieno di gente, accecato dalla luce e dai suoni. Alcune ragazze

urlarono orripilate, altre si coprirono i capelli con le mani.

Lo fissai con il cuore che andava a mille. Lui cozzò contro una lampada,

frastornato, tentando di trovare una via d’uscita, quando un bicchiere

fendette l’aria e lo colpì in pieno, mandandolo a sbattere contro il muro.

Qualcuno rise, si alzarono le voci.

Volò un altro bicchiere e vederlo schiantarsi contro la parete diede il via a

un numero crescente di risate. La paura divenne presto divertimento.

Nel giro di un istante cominciò a volare di tutto: palline di alluminio,

mozziconi di sigarette, tappi e pezzi di plastica. Una pioggia di rifiuti gli si

riversò addosso e quella scena mi straziò il cuore.

«No!» gridai. «No! Smettetela!»

Cadde in una pozza di punch, le ali che si bagnavano di alcol. Le risate

aumentarono e io afferrai le braccia delle persone più vicine.

«Basta! Fermi!»

Eppure nessuno sembrò ascoltarmi. Continuarono gli incitamenti, le urla

divertite. Fu insopportabile.

La parte più vera di me prese il sopravvento. Spintonai e mi feci largo tra

la calca finché non lo raggiunsi oltre il muro di persone. Lo vidi

rannicchiato contro la parete e l’unica cosa che riuscii a fare fu gettarmi su

di lui e prenderlo tra le mie mani.

Palline di carta mi piovvero addosso, qualcuno mi tirò una sigaretta.

Strinsi il pipistrello al petto, tentando di proteggerlo, e lo sentii

aggrapparsi disperatamente a me, i piccoli artigli che mi graffiavano la

pelle. Mi guardai intorno con occhi terrificati, e dentro sentii di nuovo quel

brivido, quel terrore che lacerava il respiro.

Vidi quelle braccia alzarsi tutte in una volta - e la tutrice che alzava la

voce, alzava le mani, le sue dita che stringevano e spingevano e

incrinavano costole - e il panico urlò più forte di prima.

Superai quel muro di persone a spallate, facendomi strada incurante di

travolgere qualcuno.

Quando riuscii a trovare l’uscita, divorai il marciapiede e mi lasciai alle

spalle quell’inferno, correndo come una forsennata. Rischiai di cadere sui

tacchi ma non mi fermai. Corsi con i muscoli che facevano male, corsi

finché i rumori non si spensero alle mie spalle, corsi fino a casa.

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