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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Prima che potessi allontanarmi, però, un paio di braccia mi strapparono al

suolo.

Trattenni un urlo. Venni sollevata da terra, rivoltata e presa e in braccio

come un sacco di patate; la borsetta mi si impigliò ovunque.

«Ehi, ne ho presa una anche io!» enunciò lo sconosciuto che mi teneva, e

con raccapriccio vidi un suo amico fare lo stesso con una ragazza

ridacchiante.

«E ora?» chiese uno dei due, eccitato.

«Buttiamole in piscina!»

Mandarono un ululato potente e puntarono come forsennati verso la casa.

Mi dimenai in ogni modo, pregandolo di lasciarmi andare, ma fu inutile.

Aveva mani talmente appiccicose che ero certa mi avrebbe lasciato le

impronte sulle gambe.

Solo una volta dentro casa, però, entrambi arrestarono la loro follia e si

guardarono intorno confusi.

«Ehi, ma qui non c’è mica la piscina…» borbottò uno dei due.

Approfittai di quel momento per rotolare giù dalle sue braccia e fuggire

via prima che potesse riagguantarmi.

Dentro era un inferno. Gente gridava, ballava, si baciava. Un ragazzo

stava dando fondo a un barilotto di birra da un tubo, incitato da una piccola

folla. Un altro stava agitando il berretto muovendosi a scatti come se stesse

cavalcando un toro da rodeo: quando riuscii a vedere meglio capii che si

trattava del tagliaerba rosso di Lionel.

Cercai la porta con sguardo smarrito, troppo piccola per vedere oltre tutte

quelle teste.

Mi infilai tra spalle e braccia, cercando l’uscita, ma d’improvviso mi

arrivò una spallata fortissima che per poco non mi fece stramazzare a terra.

«Scusa!» disse una ragazza, cercando di tirare su la sua amica.

Perché sembravano tutti impazziti?

«Perdonala, davvero. Ha bevuto troppo…»

«Era bellissimo!» berciò l’amica come se avesse visto un extraterrestre.

«Era un figo da paura, cazzo, e tu non mi credi! Non mi credi!»

Cercai di aiutarla a tirarsi su e lei si avvinghiò a me.

«Era il ragazzo più bello che avessi mai visto!» mi ululò in faccia con un

alito pieno di alcol.

«Sì, va bene, va bene», borbottò l’altra. «Un figo ultraterreno, alto,

bellissimo, e con gli occhi “più neri della notte”… Certo come no…»

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