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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Rimasi immobile come una statua di sale, e più restavo lì, più qualcosa,

dentro di me, faceva marcia indietro.

Che stavo facendo? Ero appena arrivata e già volevo andarmene. Avrei

dovuto farmi largo tra le persone e cercare Lionel, ma la sensazione di

essere nel posto sbagliato si fece lentamente strada in me.

D’improvviso, divenni consapevole di ciò che sentivo.

Non era giusto.

Qualcosa era dolorosamente fuori posto.

Qualcosa non sapeva adeguarsi. Incastrarsi.

Ero io.

Era tutto di me, anima e ossa.

Osservai il mio riflesso sul finestrino di una macchina, quel vestito che

mi faceva somigliare a una bambola.

Ma dentro ero cenere e carta.

Dentro avevo stelle e occhi da lupo.

Avevo l’anima spaccata in due, ma senza l’altra parte nemmeno respirare

sembrava più avere senso.

Ero andata lì con la speranza di dimenticare e, forse, di trovare in Lionel

un motivo per restare. Ma mi ero illusa.

Non si inganna il proprio cuore, gridarono gli universi che avevo messo

in catene. E nei miei occhi tristi vidi tutto il bisogno, strenuo e

inconsolabile, che sentivo di lui.

Rigel.

Rigel che aveva messo radici dentro di me.

Rigel che si era ancorato alle mie ossa in quella maniera delicata e

distruttiva che hanno i fiori prima di morire.

Rigel che era la mia costellazione di brividi.

Non esistono favole per chi mendica un lieto fine. Questa è la verità.

E nell’istante in cui in cui lo ammisi a me stessa, non riuscii più a

comprendere cosa stessi facendo lì.

Io non c’entravo nulla a quella festa.

Quello non era il mio posto.

Non mi avrebbe fatto dimenticare i sentimenti che mi portavo dentro. Li

avrebbe solo riempiti di spine.

Decisi di andarmene. Avrei trovato un altro momento per parlare con

Lionel, ora volevo soltanto tornare a casa.

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