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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Ebbi uno strano fremito. Ammutolii e la fissai smarrita, quasi mi avesse

schiaffeggiato la pelle. In un momento di totale confusione, realizzai che si

stava riferendo a Rigel.

Certo… Billie non sapeva come stavano le cose. Non era al corrente del

fatto che portassimo cognomi diversi, sapeva solo ciò di cui la preside

l’aveva informata. In fondo, ai suoi occhi provenivamo dalla stessa

famiglia, tuttavia il modo con cui lo aveva chiamato stridette come unghie

sulla lavagna.

«Lui… Lui non è…» riuscii soltanto a farfugliare, ma lei mi afferrò

prontamente il braccio.

«Dovresti andare in segreteria,» mi esortò con occhi angustiati, «ad

aspettarlo! Cielo, rissa con Phelps il primo giorno… Starà messo male!»

Ero certa che non fosse lui quello messo male. Ricordavo il volto

tumefatto dell’altro ragazzo quando gli avevano tolto le sue mani di dosso.

Ma Billie mi spinse in avanti, apprensiva. «Andiamo!» ed entrambe mi

accompagnarono all’ingresso. Mi ritrovai a torcermi le mani. Come potevo

fingere di non essere rimasta colpita e scossa da ciò a cui avevo assistito, e

mostrarmi invece preoccupata per lui? In bocca sentivo ancora il retrogusto

di quella violenza, e ricordavo la follia nel suo sguardo in modo lampante e

inequivocabile. Era una situazione assurda.

Dalla porta provenivano voci piuttosto alte.

Il ragazzo incriminato urlava come un matto, cercando di far valere le

proprie ragioni, e il professore urlava più forte di lui. Colsi un’esasperata

isteria nella sua voce, probabilmente per l’ennesima rissa in cui era stato

coinvolto. Ma ciò che più attirò la mia attenzione fu il tono sconvolto della

preside, e le parole incredule con cui si rivolse a Rigel: lui così bravo, lui

così perfetto, lui che non era il tipo da fare certe cose. Lui che “non avrebbe

mai iniziato qualcosa di tale gravità”, e il ragazzo protestò più forte, giurò

di non averlo nemmeno provocato, ma quel silenzio dall’altra parte

sembrava talmente privo della sollecitudine a difendersi da gridare

innocenza.

Quando dopo mezz’ora la porta si aprì, Phelps uscì in corridoio.

Aveva un labbro spaccato e vari arrossamenti dove la pelle si

assottigliava sulle ossa del volto. Mi guardò distrattamente, senza farci

caso, ma l’istante dopo la sua attenzione scattò di nuovo su di me, come se

si fosse accorto di punto in bianco di avermi già vista. Non feci in tempo a

decifrare il suo sguardo colpito perché il docente lo trascinò via…

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